Come annientare il dipendente
Lo psichiatra Vento spiega sintomi e cause del mobbing
AN. SCI. - ROMA
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Molestie sessuali, tentativi di licenziamento (almeno finché regge l'articolo
18), prepotenze e arroganze da parte del capo e dei colleghi possono
trasformarsi in mobbing, anche se non in tutti i casi il passaggio da un
fenomeno all'altro è automatico. Il mobbing, come spiega Antonio Vento,
psichiatra e presidente dell'Osservatorio nazionale mobbing-bossing, è un
fenomeno ben preciso e individuabile, fatto di diversi elementi, medici e
sociali. Non è insomma un generico esaurimento nervoso, né una semplice
difficoltà di relazionarsi con i colleghi di lavoro, ma una vera e propria
tecnica messa in atto spesso con predeterminazione per annientare il dipendente,
isolandolo da tutti gli altri e facendogli perdere la fiducia in sé stesso. E,
se non curato, il malato di mobbing può anche arrivare al suicidio.
Professor Vento, quali sono esattamente i sintomi e i diversi
gradi attraverso cui si sviluppa la malattia del "mobbizzato"?
Volendo semplificare, si può partire dall'insonnia e da altri fenomeni di
disagio simili, non limitati però a un breve periodo ma prolungati nel tempo;
si sviluppa nei primi mesi un'ossessione relativa al modo in cui lo stesso
lavoratore si vede situato nel proprio ambiente di lavoro. E non si può parlare
di mobbing prima di 6 mesi-un anno. Il lavoratore colpito da mobbing, isolato
dai propri colleghi e privato delle sue mansioni perché si senta inutile alla
catena produttiva e impotente, sviluppa così una forma di delirio persecutorio,
che si riflette anche sulla gente che non ha nulla a che vedere con l'ambiente
di lavoro, come il vicino di casa o il verduraio, ad esempio. La persona pensa
insomma che tutti lo ritengano un fallito. Nel frattempo si deteriorano anche i
rapporti familiari, l'individuo entra in depressione e, se si sente abbandonato
da tutti, può arrivare a decidere di togliersi la vita. Ma ripeto, è una
semplificazione: ogni paziente ha una sua storia, che può essere anche molto
diversa dalle altre.
Il lato comune a tutte, comunque, sembra essere il problema
della fiducia in sé stessi legato all'ambiente di lavoro.
Sì, e non a caso si parla di una vera e propria tecnica messa in piedi
volontariamente dai capi, quando si vuole licenziare ad esempio una persona
scomoda. Al lavoro è legata anche la dignità della persona, e con il mobbing
si mette in dubbio la parte più delicata dell'uomo: l'amore di sé,
l'autostima. Perché ci sia mobbing, comunque, non bastano le angherie del capo,
definite "bossing", ma si deve creare anche l'isolamento da parte dei
colleghi. Per paura, o per piacere al capo, per l'identificazione nel gruppo, è
facile che i tanti isolino i pochi o l'uno, creando così il sentimento della
persecuzione. Il resto lo fa da solo il lavoratore, portando fuori dall'ambiente
lavorativo questo carico di problemi, che travolge, come in un domino, anche la
sua vita familiare e le altre relazioni.
Ma è un problema che riguarda soltanto i rapporti personali
contingenti, o può anche trovare una radice nel modo in cui è
organizzata la società nel suo complesso?
L'aggressione del mobbing ha successo quanto più si instilla nel lavoratore
il dubbio sul suo destino. Il meccanismo si basa sul timore, che diventa il
compagno inseparabile della persona colpita. E' chiaro che in un sistema in cui
manca un solido stato sociale o delle adeguate garanzie per chi teme di perdere
il lavoro, come gli ammortizzatori sociali e lo stesso articolo 18, il
lavoratore è ancora più esposto alle intemperie. Abolire l'articolo 18, ad
esempio, crea le condizioni "naturali" per rendere ancora più nudo il
dipendente di fronte al mobbing.
Cosa può fare chi si ritiene colpito dal mobbing? Ci sono
delle leggi e delle strutture che lo tutelano?
In Italia siamo ancora molto indietro. La Commissione europea ha aperto uno
sportello e nel 2001 ha contato 12 milioni di casi in tutta l'Unione. Nel nostro
paese si calcola che il 10% della popolazione è colpito da questo problema,
circa 5 milioni di lavoratori. Noi dell'Osservatorio abbiamo una struttura di
psichiatri, psicologi, avvocati collegati ai sindacati, in modo da offrire
un'assistenza in tre livelli: sanitario, legale, sindacale. Ma attendiamo ancora
un riconoscimento istituzionale, perché al momento buona parte del lavoro che
facciamo è volontario. Inoltre, in Italia sono già pronti 5 disegni di legge
sul mobbing, ancora fermi. L'essenziale, a mio parere, dopo che l'Inail lo ha
riconosciuto come malattia professionale, è che adesso il mobbing sia
riconosciuto come un reato di rilevanza penale.
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