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Le dieci regole del ministro della sanità Umberto Veronesi

Diete, lotta al fumo e al mobbing.

ROMA - Piazzate in testa alla lista dei comandamenti dello stare bene, la lotta al fumo e al mobbing, sono le due sfide più importanti lanciate dal ministro della sanità Umberto Veronesi. Lui, l’oncologo di fama mondiale prestato alla politica, ha presentato alla conferenza nazionale per la salute a Roma, la lista delle priorità da seguire per assicurarsi una vita tranquilla e senza malattie. Tenendo a battesimo l’osservatorio per la promozione della salute.

Un decalogo che parte dalla lotta al fumo e al mobbing, che prosegue con l’aiuto da offrire ai giovani a progettarsi la vita, la diffusione di una cultura della sicurezza e dell’autocontrollo per limitare gli incidenti stradali, la prevenzione sugli aborti indesiderati, la valorizzazione di una corretta alimentazione a base di frutta, verdura, legumi e pasta, la promozione di una cultura di attenzione e di accompagnamento alla morte, l’educazione alla tolleranza e al rispetto delle regole di convivenza civile, l’aiuto agli anziani a uscire dall’isolamento sociale e la disponibilità a rendere protagonisti i giovani nella musica, sport e cultura.

Il ministro in pratica fa suo il concetto che prevenire è meglio che curare, pur ricordando il buon funzionamento della sanità italiana. E non lo dice lui, ma i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità: “Quei numeri ci assegnano il primo posto in Europa e il secondo posto nel mondo e dimostrano che l’Italia possiede un’organizzazione sanitaria non solo ben funzionante, ma anche giudiziosa per quanto riguarda l’uso dei finanziamenti” garantisce Veronesi.

Una promozione che però non autorizza ad abbassare la guardia:

“Possiamo dire di garantire anche un soddisfacente stato di salute?”. La risposta la consegna alla platea lui stesso: “Non è così e basta guardare i dati sugli stili di vita sregolati degli italiani, come il fumo e l’abuso di alcol, sui disturbi del comportamento alimentare, sull’obesità e sovrappeso, sulle morti evitabili per infortuni sul lavoro e in casa e per incidenti sulla strada”. Un ragionamento che Veronesi accompagna con le cifre: quasi sei milioni di casi di obesità infantile, 15mila morti all’anno per incidenti stradali, 5 milioni di pazienti che soffrono di depressione, morti sul lavoro in aumento. Ed ancora la dipendenza dai farmaci, l’aumento dei suicidi, dei casi di pedofilia. “Tutte spie di una qualità della vita di basso livello” conclude il ministro.

Vecchi fenomeni si fondono con nuovi, con il risultato di accrescere il malessere dei cittadini. In casa aumenta il numero degli infortuni, sul posto di lavoro il mobbing è ormai diventato un fenomeno di massa: due milioni di lavoratori denunciano atti di intimidazione, mentre altri 800mila hanno subito violenze fisiche.

Si fa sempre più fatica a vivere dice Veronesi e lo testimoniano i dati. “E’ ora di occuparsi dei più deboli” scandisce il ministro. I bambini, innanzitutto. “Su 6 milioni di lavoratrici, solo il 20% gode del part time e i piccoli italiani trascorrono un’ora e mezza in più al giorno con la baby sitter che con la madre. Possediamo, a tutela dei minori, 8 leggi, 2 norme comunitarie, 7 regolamenti e codici di comportamento, ma la vera bambinaia è la televisione con i suoi discutibili programmi aperti ai bambini” dice Veronesi.

Senza dimenticare i giovani: il 10% soffre di depressione, troppi scambiano la droga come unica terapia contro la sofferenza di vivere. Sempre più inquietante è la curva dei suicidi (3.500 nel ‘97 3.300 nel 2000) e quella dei tentati suicidi (3.500 nel ‘97 3.400 oggi).

Ed ancora gli anziani, i disabili, gli immigrati, “questi ultimi oggetto delle nostre paure e della nostra insicurezza, ma delle cui condizioni di ‘cattiva salute’ e ‘cattiva sanità’ siamo direttamente responsabili” commenta Veronesi.

Un quadro con qualche luce e molte ombre. Veronesi con il suo decalogo, prova ad indicare una strada. Il punto è capire quanti saranno disposti a seguirla. E soprattutto come passare dalle buone intenzioni ai fatti.

Da La Repubblica (13 dicembre 2000)  

 

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