L CASO B. DI MASSIMO GIANNETTI
(Roma) -
Da "Il Manifesto", 22 e 23 luglio 2000
A un certo punto vi verrà
in mente Philadelphia, un bel film dei primi anni '90 sulla
discriminazione di un brillante avvocato gay licenziato dal
prestigioso studio legale in cui lavora, formalmente
"inadempienza professionale", in realtà perché malato di
Aids. |
Nella storia che segue l'Aids però non c'entra niente. E non c'entra
niente neppure la fiction. E' una storia ancora in corso, che nessun
produttore cinematografico trasformerà in film. Si svolge al
Policlinico Gemelli di Roma, prestigioso ospedale del Vaticano con
annessa Università Cattolica del Sacro Cuore. Il protagonista, suo
malgrado, è un giovane medico di belle speranze. temuto dal suo
direttore, condannato alla gogna dalla potente lobby universitaria con
la benedizione della Santa Sede. La sua promettente carriera di
oncologo e ricercatore di Anatomia patologica, cominciata alla
Columbia University di New York, finisce in una piovosa mattina di
marzo di dieci anni fa quando - accortosi da tempo che nell'istituto
tumori in cui lavora vengono ripetutamente commessi gravi errori di
diagnosi sui pazienti - decide di fare quello che la coscienza gli
suggerisce: segnalare gli esami sospetti ai suoi superiori,
sollecitandone la ripetizione. È l'inizio della sua odissea umana,
quindi giudiziaria.
G. B., il ricercatore in questione, evidentemente poco pratico del
codice di comportamento della casta baronale, da quel giorno non potrà
più mettere piede nell'istituto di anatomia patologica diretto dal
professor A. C. Gli verrà impedito anche fisicamente. Colpevole di
aver rotto il clima di omertà che avvolge la rinomata istituzione
sanitaria del Papa, verrà prima sospeso dal reparto degli strumenti
di ricerca, tenuto lontano dalle aule didattiche, dunque punito con
l'isolamento in una stanza attigua all'obitorio, trattato insomma alla
stregua di "un monatto di manzoniana memoria", come scriverà
uno dei tanti giudici che si occuperanno del caso.
Schernito e perfino picchiato dai suoi colleghi, il medico
"indisciplinato" sarà processato da una sorta di tribunale
dell'inquisizione composto da tutti i presidi di facoltà della
Cattolica. Senza defezione alcuna, avalleranno una strategia che mira
a distruggerlo psicologicamente. La punizione del senato accademico
avrà l'autorevole sigillo del consiglio di amministrazione della
cristianissima Università.
"Mi hanno massacrato, rovinato la vita e la professione solo
perché ho cercato di salvare degli esseri umani", si sfoga G. B.
mostrandoci un voluminoso pamphlet pieno di ordinanze e sentenze di
tribunali amministrativi civili e penali che di volta in volta, anno
dopo anno, faranno perdere la faccia alla Cattolica. Ha l'aspetto di
una persona che ha sofferto molto per la sua disavventura in Terra
Santa. Sposato e padre di tre figli, mostra più dei suoi 40 anni. Ne
aveva dieci di meno quando "il mondo mi è crollato
addosso", racconta "Segnalando quegli errori credevo di aver
fatto il mio dovere morale e professionale. Cercare di curare persone
malate è il mio mestiere. In quel reparto c'erano uomini e donne
sotto terapie sbagliate. Non era la prima volta che accadeva.
Sollecitai il direttore a ripetere le analisi collegialmente, per il
bene dei pazienti. E invece sono cominciati i miei guai".
E' sconvolto quando viene fatto fuori, ma è abbastanza testardo per
non crollare ai piedi dei suoi superiori. Ha davanti a sé una
superpotenza, quella vaticana appunto, ma ha la fortuna di incontrare
avvocati disposti a "lavorare gratis" per la sua causa. La
Cattolica, forse essa stessa vittima dei poteri forti del Gemelli, farà
di tutto per "coprire" il suo direttore, anche contro
l'evidenza dei fatti. Altrettanto determinato è però B. nel
rivendicare il suo posto di lavoro.
Lo scontro, nelle aule dei tribunali, sarà durissimo. Contro il
ricercatore "impertinente", il primario sotto accusa, che
ricopre anche altre importanti cariche universitarie, attivamente
sostenuto dagli altri medici del reparto, organizzerà una durissima
campagna di stampa per screditarlo pubblicamente. Lo accuserà di
essere contemporaneamente "raccomandato, arrogante, mitomane e
ricattatore". Ma B., diranno altri giudici, non è niente di
tutto questo: segnalando quegli errori "ha scrupolosamente
osservato il giuramento di Ippocrate", secondo cui "la
missione del medico è quella di salvare le vite umane". Dà
forse l'impressione di essere un po' presuntuoso quando rimprovera il
primario di essere di fatto un "incompetente" sul lavoro, ma
ha le terribili prove dei vetrini dalla sua parte.
È convinto che molte delle diagnosi del caporeparto siano sbagliate,
e per dimostrarlo chiamerà in causa i più importanti esperti
internazionali di ricerca sul cancro: quelle diagnosi diranno illustri
scienziati, sono effettivamente errate. Ma queste conferme
risulteranno una vana consolazione per il medico inquisito. Anzi,
saranno un aggravante in più per tenerlo lontano dal reparto,
"in condizioni di non nuocere".
La Cattolica, accusato il colpo della scienza d'oltreoceano, va avanti
per la sua strada, non cede di un millimetro. Teme che riammettendo B.
nel reparto, questi possa scoprire altri "scheletri dentro
l'armadio". Si guarda bene dal licenziarlo. Non ha argomenti per
farlo. Se lo facesse scoppierebbe uno scandalo ancora peggiore. Quindi
lo tiene a bada. "Come un vigilato speciale", dirà il Tar
del Lazio, che ne ordinerà inutilmente il reintegro nelle sue
funzioni. I tribunali saranno l'altra grande soddisfazione di B.,
vincitore fino ad ora di molte battaglie sul fronte giudiziario.
L'ultima, in ordine di tempo, forse la più importante, l'ha scritta
la corte di Cassazione il 30 aprile scorso (ne parliamo qui sotto),
confermando le sentenze di condanna per "omicidio colposo"
del primario C., inflittagli nei processi di primo e secondo grado per
aver "cagionato, o comunque accelerato la morte" di una
paziente, per "imperizia" nel fare la diagnosi istologica.
La vicenda riguarda il decesso di una bambina di 9 anni colpita da un
tumore maligno, alla quale C. aveva diagnosticato una "patologia
benigna" alla vescica. L'"errore macroscopico"
ravvisato dai sette periti del tribunale era uno dei tanti
"sbagli" imputati dai ricercatore al suo primario.
Era il mese di marzo del 1991, l'inizio di questa "storia
allucinante". G. B., laureato a 23 anni in Anatomia patologica
alla Sapienza di Roma, e specializzatosi in oncologia in America,
lavora al Policlinico Gemelli già da qualche anno, dall'84, come
vincitore di concorso. A, C., già preside della facoltà di medicina
a Chieti, arriva a dirigere il reparto del Sacro Cuore nell'87. Gli
anni successivi tra i due saranno anni di normali rapporti
professionali. Poi, i primi screzi. Visionando i vetrini nell'archivio
dell'istituto, B., che svolge anche attività di assistenza al pari
degli altri medici, ha la sventura di imbattersi su due diagnosi
sospette: una di queste su una donna colpita da un tumore benigno,
alla quale stava per essere asportata una mammella. "Feci le mie
rimostranze al primario chiedendo che venissero fatte ulteriori
analisi. Gli esami quella volta furono ripetuti all'istituto tumori di
Milano e alla Columbia University di New York, che confermarono
entrambi l'errore diagnostico". Il caso controverso si risolve
senza problemi fisici per la paziente. Così avvenne anche per altro
caso di un paziente al quale era stato erroneamente diagnosticato un
tumore maligno sul viso. "Se non si fosse proceduto alla verifica
della diagnosi, il paziente avrebbe rischiato, senza motivo,
l'asportazione di una parte di tessuti facciali. Il suo tumore era
infatti benigno".
Sbagliare è umano, perseverare è delittuoso, pensa a questo punto
B., che di "casi sospetti", rianalizzando altri vetrini
istologici, successivamente ne aveva contati 113, tutti relativi al
1988. Troppi per stare tranquilli. Ne parlò con i suoi colleghi.
"La percentuale di errori era di oltre il 60%. Pensai che fosse
quindi opportuno promuovere delle conferenze per ridiscutere insieme
quelle diagnosi. C'erano persone sotto terapie sbagliate. Bisognava
intervenire con urgenza. Chiesi l'appoggio dei medici del reparto, che
però mi risposero di no, non se la sentivano di mettere in
discussione il direttore. Mi dissero di parlarne direttamente con C.
Così feci. Chiesi e ottenni un incontro con il primario. Al colloquio
esternai i miei sospetti, dissi al direttore di aver ravvisato altre
diagnosi errate, sollecitandone la correzione. Alcuni pazienti,
mandati a casa con cure a base di antibiotici, avrebbero dovuto
ricevere la radioterapia o chemioterapia, che in certi casi, se il
male è preso in tempo, consentono la guarigione del malato". C.
lo ascolta infastidito. "Mi sta a sentire con le mani davanti
agli occhi. Poi, improvvisamente si alza, livido in volto, e urlando
mi dice di cercarmi uno psichiatra e di trovarmi un altro
lavoro".
È il preludio della guerra totale, i cui esiti saranno imprevedibili
dentro e fuori dal Gemelli, dentro e fuori dalle aule giudiziarie.
Colpi di scena non mancheranno, fino all'ultimo. Ci saranno magistrati
che archivieranno indagini e altri che le riapriranno. A un certo
punto interverrà anche l'FBI americano. Ma tutti questi episodi
avverranno molti anni dopo da quel drammatico faccia a faccia che dà
il via alla persecuzione del ricercatore, vittima di una raffinata
forma di mobbing in chiave cattolica. "Dopo quell'incontro mi
aspettavo un provvedimento disciplinare. Ma non mi diedi per vinto.
Credevo di aver ancora delle chances. C'erano di mezzo pazienti sotto
terapie sbagliate. Così decisi di scrivere al rettore dell'Università,
A. B. (morto di recente) mettendolo al corrente della situazione nel
reparto. Chiesi anche a lui ufficialmente di far ripetere tutte le
diagnosi di C. Ero convinto che la Cattolica, così attenta al
valore della vita, avrebbe preso provvedimenti nei suoi
confronti". Ingenuità di un dilettante. Il rettore, sentito
prima il primario, prende carta e penna e anziché rispondere alle sue
richieste, gli comunica la data dell'udienza a cui dovrà presentarsi
per difendersi dalle accuse mossegli da C.
I "capi di incolpazione", segnalati da relative lettere di
C. al rettore, sono quattro e si riferiscono ad altrettante
"infrazioni disciplinari" che B. avrebbe commesso nel
periodo immediatamente successivo al suo allontanamento dal reparto.
Primo: il ricercatore "ha interrotto una lezione del professor C.
entrando nell'aula con una radiolina accesa". Secondo: "B.
ha asportato dall'archivio dell'istituto di anatomia patologica i
vetrini" delle diagnosi istologiche. Terzo: ha "apostrofato
con epiteti" il direttore del reparto.
Quarto: si è rivolto con "toni di voce alterati" ai
colleghi.
L'imputato contesterà punto per punto le accuse.
Ma pochi giorni prima dell'udienza vola a New York. Ha poco tempo.
Porta con sé 27 vetrini, una piccola parte delle diagnosi che secondo
lui dovevano essere riesaminate, e li consegna agli esperti della
Columbia University e del Memorial Sloan Kettering (ritenuti tra i più
importanti ospedali oncologici del mondo) chiedendone per ognuno una
contro perizia. Queste danno risultati opposti a quelli del primario
del Gemelli. Là dove C. aveva diagnosticato tumori benigni, gli
esperti Usa dicono che sono maligni. E viceversa. Confortato dalle
"prove" americane, torna in Italia giusto in tempo per il
processo. E' convinto di avercela fatta. Vive momenti di tensione
altissima fino al giorno dell'incontro con i senatori del Sacro Cuore.
L'incontro si svolge a porte chiuse, in un'aula a semicerchio nella
sede milanese dell'Università Cattolica. E' martedì 4 giugno 1991.
B. viene fatto sedere al centro dell'aula. "La seduta durò
pochissimo. Dissi ai docenti che C. aveva sbagliato molte diagnosi,
che gente innocente era stata uccisa. Misi in risalto proprio il caso
della bambina morta per errore. Cercai insomma di andare all'origine
dei problemi sorti nel reparto. Loro mi dissero che dovevo solo
rispondere dei capi di imputazione. Feci anche questo. Mi assunsi le
mie responsabilità circa i toni della voce alterati che potrei aver
usato in qualche circostanza, ma ne spiegai i motivi, contestando le
altre accuse. Poi me ne andai, lasciando sul tavolo la cartella con
gli esami di Capelli e le contro analisi degli americani".
La sentenza dei presidi era già scritta. B. però ancora non ci
crede, è convinto dell'onestà intellettuale dei docenti. Tant'è che
torna a Roma rilassato, "sicuro che sarebbe finito il mio
incubo". "Dopo molte notti insonni, quella sera feci una
dormita colossale". Qualche giorno dopo riceve a casa una
nuova lettera di convocazione dal rettore, questa volta per
comunicargli l'esito dell'"adunanza" del senato accademico,
ratificata dall'eminentissimo Consiglio di amministrazione della
Cattolica........ . Il verdetto dei presenti è una doccia gelata per
B.: altri sei mesi di sospensione dal servizio e decurtazione dello
stipendio da 3.700.000 a 900.000 lire. Quanto alla clamorosa
bocciatura del primario C., la Cattolica non ha niente da dire. Le
controanalisi degli americani vengono ritenute "ininfluenti sulla
condotta indisciplinata" di B. Che viene inoltre denunciato alla
procura per aver sottratto i vetrini istologici e per aver
"offeso con epiteti" il primario. Al processo, qualche anno
dopo, B. sarà assolto "perché il fatto non sussiste".
Ma torniamo alla sentenza opposta della Cattolica "Mi sembrava di
vivere in un mondo di favole. I richiami del papa al Vangelo, gli
appelli per i deboli, alla salvezza dei malati. Tutto questo per me,
trattato come un criminale, scacciato come un lebbroso, erano
diventate parole al vento". Per B. saranno altri mesi forzati a
casa, con uno stipendio ridotto al minimo vitale. Scaduti i sei mesi
di "sospensione cautelare", torna al Gemelli. Ma la macchina
bellica della Cattolica è ormai in pieno svolgimento. Al suo rientro
è già pronto un altro ordine di servizio. C., vietandogli
tassativamente di avvicinarsi al reparto, lo colloca fuori dalla
struttura sanitaria, nella "sala settoria", dove farà
esclusivamente autopsie. "Disse che dovevo avere a che fare solo
con i cadaveri".
Comincia così la guerra psicologica, che sarà maniacale e andrà
oltre i confini del Gemelli. Qualsiasi suo movimento è controllato a
vista. Ogni suo gesto segnalato al Senato accademico. E in questo
periodo che G. B., colpevole di aver rotto il clima di omertà che
avvolge la rinomata Università del Sacro Cuore, viene anche
picchiato. "Volevo andare in archivio per del materiale di
ricerca. Era il mio lavoro. Ma fui aggredito da un tecnico che poi si
vantò pubblicamente di averlo fatto. Mi disse che aveva l'ordine del
primario di non farmi entrare nell'istituto". C. segnala
l'episodio al rettore, sostenendo che Bigotti ha "sputato"
al tecnico, omettendo però l'aggressione di quest'ultimo. Il
direttore segnala inoltre che B. si "è allontanato dalla sala
settoria in orario di lavoro".
Quest'ultima accusa, più delle altre, tra l'assurdo e il patetico,
rasenta il ridicolo. "La stanza delle autopsie veniva chiusa
tutti i giorni alle 10 per la disinfestazione. Di conseguenza mi
obbligavano ad uscire, ma poiché non mi era consentito di andare in
nessun'altra struttura dell'ospedale, ero costretto a bivaccare nei
prati". Senato accademico e Cda della Cattolica ......- in ogni
caso non perdonano. Vanno avanti senza pietà. In una successiva
"adunanza" condannano nuovamente il ricercatore
"indisciplinato". Stavolta la pena è ancora più severa:
dieci mesi di sospensione dal servizio, senza stipendio. G. B, è di
nuovo fuori gioco: la sua attività di ricerca ormai è ferma da un
anno. "Da tre pubblicazioni al mese, il mio lavoro scientifico si
era ridotto a niente". Ma non impazzisce. Scrive altre lettere al
rettore, ai presidi, allo stesso C. Ma nessuno lo sta a sentire.
Parte a questo punto la controffensiva dei suoi avvocati. ....Presenteranno querele a raffica. Ogni atto della controparte nei
confronti del ricercatore sarà oggetto di denuncia alla magistratura.
Il caso B. diventa pubblico. I suoi legali ne danno notizia con
una conferenza stampa in cui viene illustrata l'"allucinante
vicenda" che sta accadendo alla Cattolica, il Codacons,
contemporaneamente al ricorso al Tar contro la sospensione di B. da
Anatomia patologica, scrive anche una "supplica" al Papa e
alla segreteria di stato vaticana. La missiva, inviata per conoscenza
a ministri, parlamentari e al procuratore della repubblica di Roma, è
violentissima. Parla senza mezzi termini di "logica di mafia e di
copertura che sta portando grave discredito, per oscuri motivi, alla
stessa istituzione sanitaria, al fine di salvaguardare il ruolo e la
professione di un singolo individuo (C.)... Non riusciamo inoltre a
comprendere - scrive l'associazione dei consumatori - come si possa,
con spirito e coscienza cristiani, pensare di punire un soggetto (B.)
per una colpa non sua, ma semmai dell'Università, senza incorrere in
pesanti sanzioni morali prima che giuridiche".
Interviene anche il Movimento federativo democratico, con i suoi
tribunali del malato, chiedendo al rettore della Cattolica di
"nominare un collegio medico-legale di specialisti e riesaminare
tutte le diagnosi - ben 80 mila - fatte nell'Istituto di anatomia
patologica dall'88 (anno in cui arriva C. a dirigerlo) al '92, giacché
i casi di errori gravi segnalati da B. e accertati anche dalla scienza
USA riguardano soltanto un periodo dell'88. Né l'appello del Codacons
né la richiesta del Mfd ottengono risposte.
Il 13 maggio del '93 arriva invece la prima sentenza del Tar del
Lazio, che ordina all'azienda vaticana il reintegro di B. alle sue
funzioni originarie: gli ordini di servizio di C., ratificati dalla
Cattolica sono ritenuti "illegittimi, frutto di un manifesto
sviamento di potere e di violazione di legge". Inoltre, aggiunge
il Tar "impediscono l'espletamento del compito primario del
ricercatore universitario che è quello di contribuire allo sviluppo
della ricerca scientifica". Ma l'Università dichiara di non
essere obbligata a dare seguito a tale ordinanza, e fa ricorso al
Consiglio di Stato.
Sul tavolo della magistratura intanto sono finite le 113 diagnosi
tumorali che secondo il ricercatore sono sbagliate. Un giudice
archivia.
Ma altri aprono indagini. Vengono però presi in considerazione solo i
27 casi in cui gli esperti americani della Columbia University e del
Memorial Sloan Kattering di New York hanno confermato gli errori. E'
in questa fase che la magistratura chiede l'intervento dell'Fbi. I
medici della Columbia, pur avendo messo per iscritto che furono
commessi gravi errori di diagnosi, avevano trattenuto i vetrini a loro
consegnati da B. per le controanalisi. Trattandosi di prove medico
legali delicatissime, si erano rifiutati di consegnarle ai suoi
avvocati, considerati come dei privati qualsiasi. Li cederà solo
dietro richiesta ufficiale della magistratura italiana, che li ottiene
attraverso l'intervento del Federal Bureau Investigations Usa e
dell'Interpool.
C. finisce sul banco degli imputati per le diagnosi errate più gravi
(quelle in cui ci sono persone morte di cancro) ma solo nei casi in
cui vi siano denunce di parte o parenti delle vittime ai quali la
magistratura ha potuto notificare l'avvio del procedimento
giudiziario. In tutto sono una dozzina di "decessi
sospetti", cinque dei quali, essendo nel frattempo intervenuta la
nuova legge che trasferisce le competenze sul reato di omicidio
colposo, vengono trasmesse alla pretura. La magistratura rinvia a
giudizio C. anche per abuso di ufficio aggravato e continuato nei
confronti di B.
Facciamo un piccolo passo indietro, al mese di luglio del '92. Sul
Gemelli si accendono i riflettori internazionali per la presenza di un
paziente eccellente. Papa Wojtyla è malato e viene ricoverato alla
Cattolica, che prepara l'evento con molta cura mediatica. Nei
confronti del Pontefice si sospetta un tumore ma non si sa di che
entità. Le analisi vengono eseguite nel reparto diretto da C. Ma i
vetrini istologici vengono portati fuori dall'ospedale, all'Università
La Sapienza, verificati dall'anatomopatologo Vittorio Marinozzi. In
altre parole viene seguita la procedura (negata) sollecitata da B. per
le diagnosi sospette effettuate nei confronti di decine di pazienti
comuni.
Intanto il "monatto di manzoniana memoria", dal suo esilio
forzato adiacente alla camera mortuaria, ha modo di prepararsi per il
concorso di medico associato indetto dalla stessa Cattolica. Ma il suo
tentativo non ha storia: viene bocciato con la motivazione che negli
ultimi due anni la sua "produzione scientifica si è
interrotta".
Nella commissione esaminatrice c'è C., nientemeno che l'artefice
dell'azzeramento della sua attività professionale. Il Tar,
successivamente, accogliendo anche in questo caso il ricorso di
Bigotti, annullerà il concorso sostenendo che C., visti i rapporti
che corrono tra lui e il ricercatore, si sarebbe dovuto quanto meno
astenere dal giudizio
L'ennesima figuraccia della Cattolica avverrà, anche in questo caso,
molti mesi dopo. B. è ancora interdetto.
Ma non si scoraggia, e partecipa a un altro concorso, questa volta
bandito da un altro ospedale romano, il Santo Spirito, che sta proprio
a due passi da San Pietro, ma non è struttura vaticana. E' ospedale
laico. Vince il posto da anatomopatologo distanziando di molti punti
il secondo classificato. È l'inizio del '94. L'anno delle buone
notizie per B. Arriva infatti anche la sentenza del Consiglio di
Stato, che rigetta il ricorso della Cattolica contro l'ordinanza di
reintegro del ricercatore emessa un anno prima dal Tar. La sentenza è
definitiva, inappellabile.
B. in teoria dovrebbe tornare nel reparto dal quale è stato
ingiustamente cacciato. Ma ormai ha già preso l'aspettativa dal
Gemelli per andare al Santo Spirito, dove ha davanti a sé un periodo
di prova di sei mesi prima di essere assunto ufficialmente. Ma nel
nuovo posto di lavoro, come vedremo, il suo dramma si trasformerà in
farsa.
Al Santo Spirito, dopo un primo periodo di relativa tranquillità,
succedono cose turche. Il primario del reparto di Anatomia patologica,
Dr.ssa L. A., comincia a lamentarsi del suo comportamento. A un certo
punto lo querela accusandolo di trattarla male pubblicamente, di
"sputare" ai colleghi. La A. muove sostanzialmente a B. le
stesse accuse che gli rivolgeva C. al Gemelli. Le lamentele del
primario, accompagnate da relativi ordini di servizio, si
intensificano man mano che si avvicina la scadenza del periodo di
prova. Terminato questo B. vive forse il periodo peggiore della sua
vita: viene licenziato per "incompetenza professionale".
Insomma, bocciato sul campo. E' un caso unico in Italia. Di solito le
conferme per i vincitori di concorso sono automatiche. B. chiede e
ottiene altri sei mesi di prova, previsti per legge. I suoi avvocati,
visto che c'è una querela di parte della A. contro B., chiedono al
direttore sanitario dell'ospedale la ricusazione del primario per il
giudizio finale sull'attività svolta dal loro assistito. Non la
ottengono. Il giudice di B. resterà A. Terminato il secondo semestre
di prova, il risultato non cambia: il ricercatore è licenziato una
seconda volta per "incompetenza professionale".
Le cose a questo punto sono due: o il genio B. è improvvisamente
impazzito, oppure c'è qualcosa che non va in quei giudizi così
drastici della A.
I suoi avvocati sentono odore di bruciato. Ma la chiave di volta non
sta nelle loro mani. Denunciano il primario alla magistratura, ma la
querela sarà archiviata. A loro insaputa, ma neanche il figlio ne sa
nulla, è entrata in scena la mamma di B. La quale, contemporaneamente
ai legali del figlio, aveva inviato la stessa identica denuncia contro
la A. alla procura di Milano. Non ha molta fiducia in quella di Roma,
perché già in passato aveva archiviato una querela contro C. per gli
ordini di servizio di sospensione del figlio dal reparto. Era la
stessa querela che, sempre attraverso la procura di Milano
(incompetente a indagare), finita poi nelle mani di altri magistrati
romani ...... diede vita al rinvio a giudizio ..... del primario della
Cattolica, quindi al processo che lo condannerà per abuso d'ufficio
aggravato e continuato. .......Milano però, così come fece nella
precedente occasione, rinvia il fascicolo B. a Roma, questa volta
arricchito da quel licenziamento sospetto al Santo Spirito........ Il
magistrato apre un'indagine che durerà quasi quattro anni.
La conclusione è di queste settimane ed è clamorosa: sul
licenziamento di B. dal Santo Spirito ....... ha interferito la longa
manus del potente primario della Cattolica A. C., nei cui confronti
pende ora una ennesima richiesta di rinvio. Insieme al primario del
Santo Spirito L. A. è accusato di falso ideologico e abuso d'ufficio.
Entrambi "hanno agito con più azioni esecutive del medesimo
disegno criminoso".
Nel corso delle indagini, i periti della polizia scientifica,
esaminando il lavoro di B. nell'anno di prova al Santo Spirito,
riscontrano che la sua attività è stata svolta perfettamente: le sue
diagnosi sono definite "ineccepibili". Molti medici della
struttura, interrogati dagli investigatori, smentiscono inoltre che il
suo comportamento sia stato "arrogante e irrispettoso", come
aveva sostenuto il primario nei suoi ordini di servizio. Durante le
perquisizioni delle abitazione di A. e C., la polizia scopre un
singolare carteggio avvenuto tra i due primari. Tra le carte
sequestrate anche documenti processuali, coperti peraltro dal
segreto istruttorio, relativi al caso B. Infine vengono trovate copie
degli ordini di servizio che C. faceva a suo tempo al ricercatore e
che l'astuta dottoressa A., secondo il pm, ricopiava a stralci per
rendere credibili le sue denunce sui presunti "atteggiamenti
indisciplinati" di B. In questo modo il primario rendeva un
servizio a C. il quale, successivamente, al processo in cui è
imputato di abuso di ufficio, si difenderà mostrando come riprova
delle sue ragioni, proprio gli ordini di servizio della collega A.
L'udienza dei due primari davanti al gip, che dovrà decidere se
mandarli alla sbarra o meno, è fissata per il 19 ottobre prossimo.
Il complotto, se di questo si tratta, viene svelato anche in questo
caso molti anni dopo dalla messa in scena. Siamo infatti alla fine del
1995.
B. è dunque licenziato dal Santo Spirito perché "non sa fare il
suo mestiere". Al Policlinico Gemelli i suoi avversari salutano
il clamoroso evento stappando bottiglie di champagne. Ma i vertici
della Cattolica - si apprende sempre dalle carte degli investigatori -
sapevano già che sarebbe finita nel peggiore dei modi per il
ricercatore. Durante le indagini preliminari sulla vicenda al Santo
Spirito, un giornalista, citato dalla difesa, rivela una conversazione
avuta con l'allora capo ufficio stampa dell'Università del Sacro
Cuore il quale le aveva annunciato, tre mesi prima che avvenisse il
licenziamento, che B. avrebbe perso il posto di lavoro.
Sconfitto e umiliato, B. torna al Gemelli, dove la Cattolica sarebbe
obbligata a dar seguito alla sentenza, inappellabile, del Consiglio di
stato che lo ha reintegrato nell'istituto diretto da C. Ha vinto
l'ennesima battaglia al tribunale amministrativo, ma il suo stato
d'animo, dopo il licenziamento dal Santo Spirito, è ulteriormente
peggiorato. Al Gemelli, nonostante Tar e Consiglio di stato, non
tornerà nel suo vecchio reparto. "Mi venne proposto di andare
alla Columbus, succursale del Gemelli. Pur di lavorare accettai il
trasferimento per fare attività assistenziale e di ricerca". A
parole nei suoi confronti c'è un'attenuazione della persecuzione. Nei
fatti non sarà cosi. E' solo l'effetto della sentenza del Consiglio
di stato. C., che è direttore anche della Columbus, continua a
impedirgli ogni attività di ricerca e di fare didattica. Cestina
tutte le sue richieste di fondi e per l'utilizzo di materiale
d'archivio.
Vengono intanto al pettine anche alcuni processi penali e civili...
Una delle prime sentenze della magistratura è sulla vicenda in cui il
primario della Cattolica è imputato per la morte della bambina di 9
anni. E' il '96: il primario viene condannato a sei mesi per
"omicidio colposo" e a risarcire 200 milioni ai genitori
della bambina deceduta per errore diagnostico. C. fa appello. Ma il
tribunale di secondo grado, nel '97, conferma la condanna, che diventa
definitiva nell'aprile di quest'anno in Corte di Cassazione. Il reato
di omicidio colposo è però nel frattempo caduto in prescrizione. Ma
la sentenza non lascia dubbi: i giudici della suprema corte
"hanno ritenuto che sussistevano serie e apprezzabili probabilità
di guarigione della bambina, tali da consentire di affermare la
sussistenza del necessario nesso causale con la condotta del medico
che omise colposamente di formulare la corretta diagnosi, impedendo la
instaurazione della corretta terapia post-operatoria".
C. resta in ogni caso al suo posto. Quanto agli altri dieci casi
sospetti indagati da tribunale e pretura, i periti confermano gli
errori segnalati da B. quella mattina di marzo, del 1991 e
successivamente controfirmati dagli esperti americani. Le diagnosi
vengono ritenute errate, ma non viene accertato il cosiddetto
"nesso di causalità", ovvero se la morte dei pazienti, ai
quali Capelli aveva erroneamente diagnosticato "patologie
benigne", poteva essere evitata in presenza di diagnosi esatte.
Alcuni erano molto anziani e altri erano malati di tumore maligno in
stato avanzato.
Si celebra, con la stessa lentezza, anche il processo contro B. per i
suoi presunti atteggiamenti irrispettosi nei confronti di C. e sul
presunto furto dei vetrini dal reparto. La querela era stata sporta
dal primario e dalla Cattolica. L'assoluzione del ricercatore è
piena. L'azione di B. "non costituisce reato", in quanto da
parte sua "c'è stata solo la volontà di protesta e di opporsi
all'atteggiamento degli organi accademici di estrometterlo da ogni
attività e di esercitare il suo diritto di critica e di libera
manifestazione del proprio pensiero". Due dipendenti, la
segretaria dell'Istituto di anatomia patologica e un preparatore di
vetrini istologici testimoniano di aver subito forti pressioni e
minacce affinché deponessero contro il ricercatore, in particolare
denunciavano di essere stati "puniti" sul lavoro per non
aver accettato di dire il falso. La donna dice ai giudici anche di
aver subìto un tentativo di investimento con l'automobile da parte
del tecnico che picchiò B. Scagionano insomma in pieno il
ricercatore, giurando che tutti i suoi guai sono cominciati proprio
quando segnalò gli errori diagnostici ai superiori chiedendone la
ripetizione. Alla causa contro l'isolamento di B. nella "stanza
dei morti", la magistratura è durissima nei confronti
dell'azienda vaticana il cui "grado elevato della colpa,
l'intensità del dolo e il complessivo comportamento post delictum non
è indicativo di elevata consapevolezza morale".
Si conclude anche il processo di primo grado nei confronti di C.,
imputato di abuso di ufficio continuato e aggravato. Il primario viene
condannato a un anno di reclusione (pena sospesa) e al pagamento di
una provvisionale di 100 milioni a B. per i danni subiti dal
ricercatore a causa dell'interruzione della sua attività. Il
direttore di Anatomia si appella anche a questa sentenza. Il processo
di secondo grado si è concluso il 27 aprile scorso. La sentenza viene
capovolta. C. è assolto. Ma la motivazione lascia di stucco. L'ha
scritta il giudice presidente della I sezione della Corte di
appello dì Roma, lo stesso che sette anni fa, in qualità di gip,
archiviò la querela di B. per diffamazione a mezzo stampa contro lo
stesso C. che lo aveva accusato di "ricattarlo per fare
carriera".
"C. - si legge nella sentenza d'appello, alla quale gli avvocati
di B. hanno annunciato ricorso in Cassazione - è assolto perché
l'origine della sua condotta è da ravvisarsi nella finalità di
evitare la scoperta di errori diagnostici (dolo specifico) e, cioè,
nel conseguimento del vantaggio (non patrimoniale) di perpetuare la
copertura di essi". In altre parole il giudice dice che C.
ha sospeso B. dal reparto per impedire che questi potesse scoprire
altri "scheletri dentro l'armadio" di Anatomia patologica.
Questo movente però non aveva come obiettivo il raggiungimento di un
vantaggio patrimoniale, quindi il primario va "assolto perché il
fatto non costituisce reato".
Amen
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