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  Le nostre vestigia

Girovagando per le nostre città e le nostre campagne, si vede, ma spesso non si osserva. Le nostre vestigia templari son lì, dopo 900 anni, su una facciata, sopra un portone, in una chiesa campestre o cittadina, lungo una via. Invitiamo tutti i lettori ed i navigatori ad inviarci le foto delle proprie scoperte in merito alle nostre vestigia: le migliori o le più significative saranno inserite su questo sito. La croce patriarcale fu data al nostro ordine per distinguerlo dagli altri crociati. Le immagini che seguono possono essere d'esempio su ciò che cercare.
 
Viterbo, Palazzo dell'Abate, lato interno.
Viterbo, Palazzo dell'Abate, lato esterno.

Accanto a porta San Pietro, uno dei varchi più antichi che si aprono nelle mura cittadine di Viterbo (punto di confluenza tra gli assi longitudinali del quartiere Pianoscarano), si erge un monumentale fabbricato noto come Palazzo di Donna Olimpia. I partiti murari della massiccia costruzione rendono evidenti le vicissitudini architettoniche che a più riprese si sono succedute nel corso del tempo, parallelamente al mutamento di destinazione d'uso dello stabile e ai vari passaggi di proprietà di cui è oggetto fin dalla sua costruzione. Il palazzo, eretto nel XIII secolo, è inizialmente la sede dei monaci Cistercensi di San Martino al Cimino e come tale è anche noto come "Palazzo dell'Abate". A questo proposito è giusto ricordare che i Cistercensi esercitano nel corso del Duecento una grande influenza nell'Italia centrale, in particolare nel Lazio, dove si fanno promotori di alcune delle loro più memorabili fondazioni quali quelle di Casamari, di Fossanova e di San Martino al Cimino. Queste tre abbaziali, mirabilmente formulate in base ai nuovi dettami costruttivi borgognoni, racchiudono tutte le novità con cui l'architettura italiana si affaccia al principio del XIII secolo, divenendo esse stesse dei veri e propri punti di riferimento. I Cistercensi giunti dalla Francia sulla spinta di papa Innocenzo III (1198-1216), sono presenti a Viterbo sia nella compagine maschile che in quella femminile: i monaci, insediati nel complesso di San Martino al Cimino, abitano nel palazzo presso Porta San Pietro, mentre le monache di clausura risiedono nel convento di Santa Maria del Paradiso. Le componenti duecentesche del grande palazzo dell'Abate, impostato su una pianta irregolare, sono più evidenti nel rigido parato murario in conci di peperino del lato merlato addossato alla Porta, di cui sono superstiti le due bifore con lunetta traforata: testimonianza dell'affermazione dell'architettura gotica dall'accento rayonnant che si diffonde nel XIII secolo, tendente allo sviluppo degli elementi ornamentali. La costruzione, in cui convergono caratteristiche tanto del palazzo pubblico quanto dell'architettura di difesa, è influenzato dall'arte monastica del tempo e dai mirabili risultati raggiunti nel Palazzo Papale. Nel 1500 il cardinale Francesco Piccolomini (nel 1503 salito al soglio pontificio con il nome di Pio III), dopo essere divenuto Commendatario dell'Abbazia di San Martino, prende possesso dell'antica residenza viterbese e la fa opportunamente restaurare. Poco dopo ne promuove l'ampliamento, con l'aggiunta di un corpo di fabbrica esterno alle mura urbane e a esse inglobato, innestato obliquamente al preesistente. Le sovrapposizioni rinascimentali sono evidenti soprattutto sul fronte orientale (verso la via suburbana), ritmato da una teoria di finestre riquadrate con raffinate mensole e cornici, di grandezza differente e collocate in modo disuguale rispetto al piano d'imposta, stilisticamente accostabili alle aperture di taluni edifici toscani. L'intervento piccolomineo è inoltre evidente negli stemmi con le mezze lune disposte a croce (simbolo della Casata) apposte sulle mura del fabbricato e nella mostra di fontana oggi sul muro esterno Via di San Pietro (corrispondente al fabbricato tardo-ottocentesto), caratterizzata dall'estrema ricercatezza del disegno d'insieme e dalla nitidezza dell'intaglio. Nel 1654 Donna Olimpia riceve dal cognato, papa Innocenzo X Pamphili, il titolo di principessa di San Martino, entrando conseguentemente in possesso del palazzo viterbese. Dal 1760 passa ai Doria-Landi, per essere poi adibito a sede del brefotrofio. In coincidenza di quest'ultima destinazione il fabbricato originario è prolungato fino a chiudere la circonvallazione interna ed unito alle case di Via San Pietro, secondo un progetto realizzato tra il 1891 ed il 1899 dall'architetto viterbese Enrico Calandrelli, che ripropone nel nuovo fabbricato i caratteri architettonici dell'adiacente palazzo duecentesco ( in primis le bifore con soprastante ricamo).

 
Viterbo, Via S. Pellegrino
Viterbo,Via S. Pellegrino
Viterbo, Via S. Pellegrino
Viterbo
Orvieto, Palazzo papale.