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7. La natura vivente dei processi educativi

Come è potuto accadere che questo sistema di valori nuovi sia potuto penetrare nella scuola? Tralascerò qui i sommovimenti sociali che ne sono all'origine, nelle strutture produttive e nel loro intrecciarsi con le categorie dell'immaginario collettivo.
Cercherò di tenermi all'interno della scuola, di guardare le cose da questo punto di vista, forse significativo proprio per la sua parzialità.
Spesso nella scuola ad una ricchezza educativa diffusa si è accompagnata una fragilità teorica, dove "teoria" riprende qui il suo primitivo senso legato al "vedere", al "saper vedere". Molti commentatori e storici della scuola hanno messo in luce, la presenza di processi educativi di qualità e una vivace ricerca pedagogica e didattica che hanno caratterizzato la scuola italiana dal '45 ad oggi.
Basti pensare sia alle realtà di un associazionismo insegnante incisivo ed impegnato : il lavoro decisivo del Movimento di Cooperazione Educativa, il CIDI, i Giscel, le dieci tesi per un'educazione linguistica democratica, sia dall'impegno creativo e professionale profuso da molti /e docenti individualmente ed anche attraverso l'esperienza delle sperimentazioni (34).
Eppure questa incessante ricerca di un senso civile e culturale alto da dare al proprio lavoro, proprio in questi ultimi anni si è appannata. C'è stata come una perdita di lucidità sui temi generali e un ripiegare sulla propria associazione, spesso in senso corporativo. Cedendo alla seduzione pericolosa di un "approccio riduzionista" (35), venivano così siglate negli ultimi anni, importanti convenzioni con il ministero della P.I.: per esempio ne esiste una della Società delle Storiche, cui appartengo. Ma ce ne sono molte altre.
E' stata una corsa da parte di gran parte del mondo associativo, che, pur di acquisire ruolo e visibilità istituzionale rinunciava alla formulazione di analisi più complessive e di critiche di fondo.
Questi "protocolli d'intesa" (così si chiamano) stabilivano per la nuova scuola l'imprescindibilità di alcune linee tematiche e didattiche, ma evitavano accuratamente di interrogarsi su che cosa sia e possa essere la scuola oggi, per la società e per chi la abita e in quali sensi andassero i diffusi desideri di cambiamento. Come suggerisce il maestro di strada, Marco Rossi-Doria bisognerebbe invece tornare a riflettere sui grandi temi: "in quale mondo siano chiamati ad esercitare il nostro mestiere?" (36).
Alla stessa necessità di pensare la scuola, a fronte anche degli imponenti processi migratori da cui il nostro paese è investito, si richiamava anche Severino Saccardi l'anno scorso, auspicando "una nuova paideia e un nuovo umanesimo" (37), che certo non possono essere rappresentati dalla retorica dei valori d'impresa.
Questi auspici non sembrano essersi inverati: la vita della scuola "vera", ciò che avviene nelle nostre aule, insegnare e studiare non sembra avere avuto la forza di penetrare nel discorso pubblico in positivo.
Se ne parla solo per fare aggiunte a qualcosa che manca, per denunciare carenze, come se l'unica cosa che emergesse di duecento nostri giorni di scuola fosse un grande vuoto che in molti si affannassero a riempire.
Beninteso esistono dei bei libri e delle riflessioni sui processi educativi viventi. Ci hanno fatto sperare e respirare.
Li voglio qui citare, come per un omaggio. Penso alla costellazione (mi limito a quella italiana) costituita dai bei lavori di Paolo Perticari, Rosalba Conserva, Marianella Sclavi (38), alla bella testimonianza di Marco Rossi-Doria già citata sulla sua esperienza di maestro elementare che contiene teoria e consapevolezza etica.
Penso anche allo stesso movimento-rete dell'autoriforma gentile, (a cui anch'io faccio riferimento e che mi aiuta a fare del mio meglio a scuola), movimento che si sforza di rendere "parlante" una categoria, come quella nostra, di preferenza molto "parlata" da altri.
Ma queste voci, lontane dall'impresa quanto dal neopositivismo pedagogico delle facoltà di pedagogia, sono entrate debolmente nel discorso pubblico e meno che mai nella riforma.
E' come se sul reale "scolastico" che queste voci fuori del coro sostanziano, quindi sugli aspetti concreti del quotidiano vissuto da centinaia di migliaia di persone fosse stato steso un velo di opacità -che diventa poi anche opacità istituzionale. E' ciò che Marco Rossi-Doria chiama "imbecillità sistemica", speculare peraltro, in una relazione di "terribile reciproca funzionalità" (39), alla passività di noi insegnanti.
La concretezza delle viventi relazioni educative che a scuola si instaurano è rimasta muta nel linguaggio della politica scolastica e muta nelle riforme in atto.
Sono rimaste mute le cose importanti. Cercherò di elencarne alcune. La loro caratteristica comune epistemologica è che se ne può parlare, ma non si possono codificare.
Non si danno ricette nel nostro lavoro, semmai narrazioni a posteriori.
E' 0"impensabile continuare a credere -quando ci si occupa di progettazione sociale o educativa- che esista un modello certo e lineare".
Bisogna cominciare a considerare davvero un grande "merito professionale e condizione di ogni possibile successo il rendersi vulnerabili al dubbio, il restare in attesa", riconoscendo a una parte non piccola del nostro lavoro "un perpetuo e creativo aggiustamento" (40).
Occorre un nuovo pensiero che sappia vedere e far valere linguaggi e quadri concettuali più aderenti alla complessità della relazione educativa.
"Non basta al nostro lavoro -è ancora Marco Rossi-Doria che mi presta le sue parole- il castello ben disegnato che partendo dall'analisi dello stato di partenza, o d'ingresso, -attraverso gli obiettivi- riesce a concludersi nelle modalità di verifica e di valutazione verte. Questo castello di progettazione tradizionale, implicito anche nelle griglie di valutazione di ottimi, oltre che una visione unilaterale del tempo e deterministica dell'azione, esprime una concezione sostanzialmente meccanicistica della progettazione in cui si sottolineano i caratteri di prevedibilità, di regolarità e di stabilità tipici di una macchina, che male ammette modificazioni interne e configura progetti di crescita solo per addizioni" (41).
Nell'invito a misurarsi con la complessità Edgar Morin e il maestro Marco Rossi-Doria parlano la stessa lingua.


NOTE

(34) Mi riferisco qui in particolare alle cosiddette maxisperimentazioni per le superiori, nate dal baso verso la metà degli anni '70, in seguito affossate. Si è trattato di realtà assai diverse dalle sperimentazioni assistite, promosse dall'alto e successivamente.

(35) Edgar Morin, La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffaello Cortina editore, 2000, p. 6.

(36) Marco Rossi-Doria, Di mestiere faccio il maestro, Napoli, L'ancora del Mediterraneo, 1999, p. 40.

(37) Severino Saccardi, cit., p. 20.

(38) Paolo Perticari e Marianella Sclavi (a cura di), Il senso dell'imparare. Per far riprendere il fiato e la parola a insegnanti e studenti, Milano, Anabasi, 1994. Paolo Perticari, Attesi imprevisti. Uno sguardo ritrovato su difficoltà di insegnamento/apprendimento e diversità delle intelligenze a scuola, Torino, Bollati Boringhieri, 1996. Marianella Sclavi, La signora va nel Bronx, Milano, Anabasi, 1994.

(39) Marco Rossi-Doria, op. cit., p. 108.

(40) Marco Rossi-Doria, op. cit., p.133.

(41) Marco Rossi-Doria, op. cit., p. 134.

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