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6. Microstorie.

Sarebbe auspicabile che accanto al sito del Ministero sulla scuola dell'autonomia, si aprissero spazi, non solo in rete, per le storie di scuola.
Racconti leggeri, come consigli- diceva Benjamin- per indagare le direzioni in cui ci muoviamo, quei "percorsi" non esplicitati nei POF, non osservabili del tutto, perché molto profondi, e tantomeno modularizzati e certificabili. Ma ben esistenti ed operanti.
Storie di scuola. Ben diverse dalla fobia documentatoria e da quella cosiddetta "letteratura grigia" che documenta le esperienze didattiche (obiettivi, tempi, strumenti, ecc.) che nessuno legge. Cronache dall'autonomia piuttosto, uno sguardo attento ai cambiamenti che già sono davanti ai nostri occhi.
Quanto vi ho raccontato sull'IFTS, nasce per me proprio da questa esigenza di capire e indagare su ciò che accade nel luogo in cui lavoro e passo tanto del mio tempo di vita. E' proprio partire dal mio microcosmo che il senso dei cambiamenti profondi delle riforme di questi anni manifesta il suo senso.
Nelle mia scuola, l'introduzione dell'autonomia, ma anche l'organico funzionale (cioè la possibilità di avere sconti orari sulla base di "progetti" presentati) e le funzioni obiettivo hanno prodotto una deriva centrifuga potentissima.
E' nata una progettistica disordinata e senza chiari e unitari fini educativi. In una sorta di frantumazione postmoderna del sapere, si situano in una orizzontalità puntiforme le iniziative più disparate: dentro e fuori il curriculum, in una aleatorietà di confini non più governabile. Teatro, coro gospel, progetti per l'educazione alla sessualità curati dalla ASL, giornalino, scambi con l'estero concorsi (il più noto è quello delle PP.OO., anche per gli ampi riconoscimenti istituzionali di cui gode: "In lode a una donna", con premio in Palazzo Vecchio). Altre iniziative: l'IFTS, naturalmente; scuola-lavoro per le quarte, stages di lavoro all'estero (in preparazione), parlamentino della Toscana per gli studenti, collaborazione al "Nuovo Corriere" (il quotidiano che dedica uno spazio alle scuole tutti i venerdì), sportello psicologico, quaderno di documentazione sulla scuola (apposita funzione obiettivo)… Beninteso nessuna di queste attività in sé è negativa. E' il loro accumulo nello stesso contenitore a fare assomigliare l'insieme di queste proposte a un universo frammentario e confuso, una realtà caotica, o meglio, una realtà simbolicamente vicina all'accumulo di merci di un ipermercato: c'è di tutto, dal cinema alle patate, ed è il cliente che sceglie. Alcune spie preoccupanti nel mio microcosmo: l'inesistenza di una biblioteca degna di questa nome da anni. La svalorizzazione della biblioteca è una vicenda interessante: nessuno era apertamente contrario, ma non siamo riusciti a mettere insieme sinergie positive che rendessero la biblioteca una realtà viva della scuola. Anche dinanzi all'inadeguatezza dello spazio, quando se ne individuava un altro, c'erano sempre prima altri usi possibili: tipo, la sala audiovisivi no, perché serve per gli ospiti degli scambi.
La mancanza di priorità culturali è tendenza non recente della scuola italiana. Non comincia con l'introduzione del POF. Ma il POF la istituzionalizza e la rende ufficiale. Altra spia preoccupante della disimmetria fra sapere e scelte gestionali: le carte geografiche. Nella mia scuola non ci sono carte geografiche posteriori al 1989. La richiesta da me fatta a settembre, pur messa a protocollo e presentata alla funzione obiettivo apposita, giace tuttora inevasa.
Abbiamo dei lussuosi laboratori di informatica, uno di chimica, un laboratorio linguistico e un laboratorio di elettronica. Stiamo lavorando a Intranet, rete interna di Internet. Ma carte geografiche no. Quelle poche presenti nelle classi, residuati di un'altra epoca, ormai sono tutte "storiche": dall'impero all'epoca di Traiano all'Europa dei due blocchi e dell'URSS. E ancora. Molti/e insegnanti da noi lavorano su un mare di iniziative disparate, ma non si è trovato nessuno su 127 docenti, disposto ad impegnarsi in un gruppo (cosiddetto gruppo-recupero) che pensasse a come rimuovere i problemi alfabetici gravi dei nostri studenti.
A fronte di una percentuale alta di bocciature nelle prime (circa il 20%), il collegio vota schizofrenicamente che il problema del recupero alfabetico e dello svantaggio culturale è al primo posto tra le priorità che noi riconosciamo. Ma poi nessuno se ne vuole occupare, né come funzione obiettivo, né ricevendo l'incarico direttamente dal preside.
Si ha in fondo l'impressione di lavorare in una istituzione che ha smarrito il suo senso civile e culturale in una serie di procedure "altre" che ne impegnano i membri più attivi.
Cosa sta succedendo?
Guardando più a fondo nelle soggettività delle e degli insegnanti appare in corso un processo di costruzione di carriera da parte del singolo/a.
Il concorsaccio non è passato, spazzato via da una decisa opposizione alla differenziazione di ruoli e salariale. Ma la gerarchizzazione della figura docente è tuttavia in pieno svolgimento. Nei tempi di crisi il particulare, come diceva il Guicciardini, diventa l'unica bussola valida e riconoscibile per il singolo. Ed è questa la bussola vincente nelle scuole dell'autonomia.
Non per tutti è così, certo. Come è ovvio aspettarsi, sono specificamente impegnati in questa "carriera-docente" solo quelli che aderiscono allo spirito e alla lettera del modello riformato. Ma dato che il particulare in epoca di crisi fa le veci degli universali etici decaduti, finiscono per impegnarsi nella carriera anche coloro che, fedeli o no, desiderano per sé ruoli non subalterni.
Largo dunque ai decisi/e. Pochi e poche: una percentuale sulla massa dei colleghi non interessati a sviluppare il POF. Occorre un po' farsi largo perché d'altronde posti e risorse per tutti nemmeno ci sarebbero.
Vediamo come funziona il nuovo meccanismo di carriera delle nostre scuole.
I nuovi rapporti di potere tendono a configurarsi come un neofeudalesimo.
Nulla di arcaico in questa realtà. Basti pensare che certi "processi di fidelizzazione" (si chiamano così: una mescolanza fra principi religiosi giapponesi e cultura d'impresa) sono alla base dello "spirito Toyota" auspicato nelle aziende post-tayloristiche dei nostri giorni: alta convinzione e partecipazione all'impresa comune del dipendente.
Anche per la scuola il contesto è cambiato. La fedeltà alle linee-guida è l'essenziale.
Il preside è il "sovrano", ordinato dalla nuova normativa della dirigenza. Ma per governare il POF, ha bisogno di vassalli fedeli. Occorre essere fedeli al preside e alle direttive del ministero. E' lo staff, che infatti non viene più votato dal collegio, ma direttamente e insindacabilmente scelto dal dirigente.
Il preside-sovrano premia qui fedeltà nuove e antiche, che finalmente trovano, nella scuola dell'autonomia, un ufficiale riconoscimento.
Un'altra parte della "nobiltà di scuola" si autoseleziona e pone la propria candidatura al collegio di inizio anno: sono le funzioni-obiettivo.
A loro volta i membri della dirigenza, staff e funzioni-obiettivo, scelgono fra i colleghi un certo numero di loro collaboratori.
E così nasce il ceto dirigente scolastico: vicino alle fonti decisionali, in grado di determinare, pur se in diversa misura, a seconda della potenza del proprio feudo, le politiche della scuola dell'autonomia.
I vassalli, nominati o eletti, ottengono ufficialmente un beneficium, il proprio feudo, e si preoccupano di curarlo e farlo prosperare. In cosa consiste questo beneficium?
Sono le varie zone-feudo (o aree) del POF. Ci sono aree più o meno potenti. La potenza si misura in termini economici, ma anche in termini di prestigio simbolico di cui certe iniziative godono, a scapito di altre. E ciò dipende dalla fedeltà alle linee-guida della nuova scuola riformata.
Per esempio, nella mia scuola, occuparsi dell'IFTS o della scuola lavoro, o dell'autovalutazione di istituto, è percepito come prestigioso (e retribuito), mentre la biblioteca gode di scarso credito e non interessa a nessuno. E' un feudo piccolo che non fa fare carriera: non dà accesso a privilegi né in termini di tempo, né in termini di soldi.
La nuova gerarchia di funzioni ha sventagliato il mansionario tradizionale della nostra categoria secondo differenti compiti e ha ridistribuito i ruoli secondo un modello gerarchico nuovo.
L'elemento-chiave della salita gerarchica al ceto dominante scolastico è la lontananza dalle classi. Chi sta in classe svolge un lavoro invisibile, prezioso in una certa idea di scuola appassionata -scuola frontale- che qualcuno/a di noi ha ereditato da maestri/e. Ma oggi è un lavoro svalutato, parcellizzato e oberato di doveri di certificazione.
Nella percezione del proprio lavoro, i nostri colleghi impegnati nella carriera dimostrano assai poca nostalgia della vita di classe, quasi che quello specialissimo fermarsi del tempo per sostare e mettere in atto lo studium , e farlo con piacere assieme agli studenti -la parte impagabile del nostro lavoro che forse non c'è sempre, ma ogni tanto arriva- non dicesse loro più nulla.
Emergono altre "c": capacità, competenze e conoscenze nuove nei nostri colleghi e colleghe. E' un nuovo modello di insegnante: l'insegnante imprenditore. Si percepiscono come portatori di nuova professionalità, contrapposti a noi, i vecchi insegnanti, chiusi fra le quattro mura, a "far sempre le stesse cose": dei Travet con mentalità da dipendente statale, passatista e conservatrice.
In molti dei nostri colleghi e colleghe il mercato ha agito come paradigma culturale. Nel suo non proporsi più soltanto come procedura per la produzione di merci, ma come asse culturale dominante del nostro tempo, il mercato è divenuto uno spazio simbolico nuovo di valori percepiti come universali e portatori di bene comune.
Il mercato si è fatto valore morale. In quanto tale trova un consenso, piace, si incarna nelle emozioni e nelle vite dei singoli. Ma soprattutto, come abbiamo visto, attiva e indirizza i comportamenti professionali.
I nostri colleghi, in altre parole, sono come noi, almeno per ora, dei dipendenti statali. Non hanno in mano né aziende, né capitali loro da mettere a rischio. Ma si sentono come imprenditori.
Non si comprende il naufragio dell'altra scuola, quella "sperata", se non si cerca di interpretare il consenso, anche parziale, che questa "nuova" riceve.
I nuovi valori morali del mercato mettono al lavoro le soggettività dei nostri colleghi, le specifiche qualità individuali delle persone, sia uomini che donne, lasciando che all'interno dei confini istituzionali e delle procedure date (che non si toccano!), ciascuno dosi le proprie intuizioni e la propria creatività e la giostri sul piano delle iniziative dimostrando cosa sa fare.
In realtà nella nuova scuola dell'autonomia accade che ogni insegnante, sulla base della pervasività di questo modello dell'insegnante-imprenditore, sia incoraggiato, invogliato e richiesto di fornire, accanto al tradizionale lavoro in classe, percepito come normale routine, altre prestazioni del tutto diverse da quelle che si coltivano nel lavoro in classe. Secondo il nuovo modello, l'insegnante deve diventare imprenditore culturale: che si ricavi uno spazio specialistico dentro la propria scuola e che lo occupi saldamente, meglio per lui se in posizione gerarchicamente evidente.
La parola magica è "referente". I referenti possono essere le figure obiettivo, ma non solo. Anche un insegnante" semplice", se si dà da fare e se un certo ambito è rimasto libero, può diventare "referente" di qualche cosa: il recupero, la storia contemporanea, le pari opportunità, la salute, le attività extracurricolari. E così via per decine di voci in ogni scuola. Altrove li ho chiamati feudi. Non sono in numero fisso: se ne possono sempre -in concerto con il territorio magari- inventare dei nuovi.
Essere referente dà al fortunato insegnante delle "referenze", una sorta di portfolio di crediti suoi personali che prima o poi servirà, per poter documentare al meglio la carriera che ministero e sindacati appronteranno per i meritevoli "referenziati".
Intanto per ora il ministero sta approntando un albo degli insegnanti formatori di colleghi. Si aderisce così al modello morale del mercato. Nella propria scuola si può avere anche più di una carica: basta esserne investiti dalla gerarchia ufficialmente: deve essere visibile. E poi si può dare fiato alla propria creatività.
Tutti possiamo provare a essere referenti (è il vantaggio della competizione!): basta fare rapidamente l'inventario di ciò che ci piace o che ci interessa, dentro e fuori la scuola: cinema, teatro, libri, computer, storia delle donne, bridge, meditazione, ecc. Ognuna di queste attività umane può diventare una branca del POF, che sembra non aspettare altro. E poi basta solo che il vassallo-imprenditore la occupi facendone il proprio feudo.
Sono appunto gli specialismi delle soggettività messe al lavoro, che si fanno brandelli di saperi e disegnano il patchwork delle nostre scuole.
Velocità nel reperire finanziamenti e buoni sponsor, capacità di creare "sinergie" (altra parola magica del mercato morale) tramite relazioni dirette ed informali, assunzione di incarichi di lavori a termine, spesso anche brevi, purché visibili da tutti, soprattutto da parte della gerarchia, meglio se documentati per garantire al referente un ritorno positivo di immagine. Ecco le nuove virtù del mestiere.
E così l'insegnante imprenditore, spesso per poche lire, (ma è la simbolica del riconoscimento che conta qui) si appiattisce felice sul mito nordest e si fa organizzatore di mostre, tiene rapporti frenetici con le scuole all'estero, sta dietro alle industrie (quelle vere) del territorio, si occupa di cori gospel e di contraccettivi, di regie teatrali e di progetti europei, di orientamento.
Gli effetti di questa mutazione, innanzitutto nei cuori e nelle menti degli insegnanti, non tarderanno a farsi sentire nel corpo delle nostre scuole. E' questa la vera riforma incarnata. Ed è già in atto.

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