I giocatori brasiliani non si vergognano della loro fede

 

Chi erano i favoriti del mondiale nippo-coreano? Lo sapevano tutti: in primis la Francia, poi l'Argentina e magari l'Italia. Ma il mondiale ha visto l'emergere di squadre perlomeno "alternative":  gli Stati Uniti hanno forse fatto vedere il miglior gioco della competizione, la Turchia ha confermato di essere una nazione in crescita proiettata tra le "grandi", la Corea del Sud ha messo sempre in campo una grinta ed una passione spaventosa (non è lo scopo di questo articolo parlare dei favoreggiamenti arbitrali, ne è pieno il web...) ed i ragazzi senegalesi hanno fatto quello che abbiamo visto perché hanno giocato a calcio divertendosi. La Germania stessa sembrava una squadra di ragazzoni con poca tecnica e visione di gioco, ma ha saputo approfittare delle circostanze.

Il torneo però è stato alla fine vinto dal Brasile, qualificatosi a stenti ma con giocatori determinanti. La finale ci mostra due gol del redivivo Ronaldo nel secondo tempo ed al triplice fischio tutti in campo con le bandiere. Ma la telecamera si sofferma su tre giocatori brasiliani inginocchiati in mezzo al campo, che stanno pregando con rara intensità (ed i cronisti televisivi non hanno saputo dire niente...). Fra questi riconosciamo Edmilson, campione di Francia, e Lucio protagonista del club tedesco Bayern Leverkusen secondo in coppa di lega, campionato e Champions' League. Anche il portiere Marcos ringrazia Dio davanti alla porta che ha difeso come ben pochi brasiliani hanno saputo fare in passato (Gilmar su tutti).

Le magliette che i ragazzi mostravano mi hanno trasmesso un'emozione vibrante, sicuramente maggiore dei gol di Vieri e dei colpi di tacco di Totti: "I belong to Jesus", appartengo a Gesù, "I love Jesus", io amo Gesù, "100% Jesus". Poi, i calciatori credenti hanno convinto il resto della squadra a stringersi attorno al cerchio di centrocampo per ringraziare il Signore tutti insieme. Bisogna ricordare che ci sono anche alcuni giocatori brasiliani inclini alla macumba ed alla magia nera, forse ci furono riti di questo tipo all'origine dei malesseri di Ronaldo prima della finalissima di quattro anni fa; è mia speranza che questi avvenimenti possano toccare i cuore dei giocatori brasiliani che ancora non appartengono a Gesù, dare una scossa elettrica a tutti gli spettatori ed a incoraggiare ogni credente a testimoniare la propria fede a prescindere dalle circostanze. Ecco cosa significa rendere la gloria a Dio.

Purtroppo la stampa italiana non ha saputo distinguere questa manifestazione di fede da superstizioni e scaramanzie, al riguardo potete leggere un puntuale articolo di P. Jugovac su www.evangelici.net. Del resto, con queste mie righe non voglio dire che essere credenti assicura ogni successo, ma solo che i credenti brasiliani, dopo aver vinto il trofeo, hanno reso la gloria al Signore della loro vita, quanto potevano benissimo tenersela per sé. Ricordate cosa è successo ad Erode Agrippa I quando non lo fece? (cfr. At 12: 20-23)

 

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