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La dotta ignoranza

di Chiara Zamboni

docente universitaria

Mi ha colpito dell'intervento di Cristina una cosa su cui lei ha molto insistito ed è quella per la quale lei diceva: "Il nostro sapere è un sapere non disciplinato. Noi veniamo dalle magistrali, e le magistrali ci danno una formazione che ci permette di stare anche in un gioco e di rapportarci ad una ricerca di sapere e di esperienza e una nostra caratteristica è il sapere un po' di tutto", e la poneva come una caratteristica, una qualità che poteva essere messa in gioco in un certo modo. Per questo lei diceva di non sentirsi una maestra disciplinare, in rapporto ai bambini e alle bambine. Ha usato anche questa espressione: "Ci poniamo come ignoranti, per questo andiamo a cercare". È questa la questione che a me sta più a cuore, sottolineare questa posizione simbolicamente autorevole ma che non prende forza dalla disciplina, e come la disciplina sia pericolosa, perché va ad oggettivare non solo il sapere ma anche te, io lo sento su di me, il pericolo di diventare la disciplina stessa. Quindi la forza diventa per me un punto di vista importante. Questa questione me la sono trovata davanti durante il Laboratorio tesi di laurea che abbiamo fatto con Luisa Muraro dove il senso forte di riformare e rifare la tesi di laurea è il puntare sulla lingua materna, sulla lingua come modo di ripensare poi alle questioni che sono all'interno della tesi, ma, in qualche modo, sottraendosi alla disciplinarità in senso stretto. Quindi, stando in rapporto con la questione che si deve affrontare nella tesi, però non stando all'oggettivazione disciplinare che ogni singolo argomento propone. Le cose che sono state dette mi hanno fatto venire in mente la scommessa di questo genere che noi abbiamo fatto e che ha puntato molto per stare in una posizione predisciplinare che conquisti dopo aver attraversato le discipline e anche le difficoltà. Tante volte io stessa vengo catturata dall'oggettivazione delle discipline e mi aiuta il saper stare nella semplicità, nella ricchezza, nella dimensione del linguaggio affettivo della lingua materna che è predisciplinare, che è la competenza simbolica della lingua. Però questo gioco non è sempre facile, e questa è anche un po' la differenza fra insegnare a persone di 20 anni e insegnare a bambini. Per esempio parlando con delle maestre loro mi dicevano, riguardo allo studio della lingua francese, che i bambini si muovono come dei pesciolini in acqua, con molta libertà. Con persone più adulte si perde questa libertà e per riconquistare l'autorevolezza dell'ignoranza occorrono delle pratiche, non è immediata questa cosa. Lavorando con Wanda e con Luisa abbiamo pensato a delle pratiche di scrittura della tesi, perché altrimenti ti vengono in mente sempre meccanismi già disciplinati della lingua. Abbiamo trovato delle pratiche che mettessero vicino leggere un libro che ti piace molto e la scrittura della tesi, in modo da poter parlare, di un autore, o di un'autrice, con una scrittura o un pensiero fissato in una dimensione di piacere, di godimento della scrittura, in fedeltà alla lingua materna. Occorrono delle pratiche, perché non è automatico. Ragionando sul tema della lingua, mi veniva in mente anche pensando al discorso fatto da Katia sulla razionalizzazione dei tempi nella scuola, che sta sulla stessa linea della disciplinarità, delle competenze, delle decisioni, in tanti settori diversi come questo adesso abbia riscontro in altro modo come linguaggio adoperato per la riforma universitaria sul quale volevo ragionare un attimo. Questa cosa che diceva Cristina, e che io ho ripreso stare in una dimensione di competenza di ignoranza autorevole, e quindi capacità di stare, e di ritrovare il senso delle cose che si stanno facendo è totalmente cancellata nel linguaggio della riforma universitaria, che è un linguaggio giocato sul fatto che gli studenti hanno, nei confronti dell'università, dei debiti e dei crediti e questo significa che si apre una partita di conto con l'amministrazione dell'università, per cui gli studenti diventano clienti di un'azienda e questo è il primo impatto della riforma, ma il secondo impatto, che è più segreto, è che i crediti per un esame vengono calcolati sulla quantità di "ore uomo" che uno studente adopera per studiare quel determinato esame, infatti alle fine degli esami vengono distribuiti dei moduli che gli studenti devono riempire in cui devono dire quante ore hanno impiegato per studiare quel determinato esame, poi viene fatta la media. Questo è molto interessante perché non è più l'immagine del cliente che ha la partita doppia con l'amministrazione, invece è quella di Vittorio Alfieri seduto con la volontà alla sedia e che con volontà studia una certa quantità di ore. La cosa che volevo dire su questo uso del linguaggio è poi che diventa progetto di riforma ed è come se fuori di noi trovassimo un'oggettivazione, un'alienazione in forma oggettiva, di qualche cosa che invece dovrebbe nascere in questa dotta ignoranza di cui parlava Cristina. La realtà della situazione è che poi studenti e studentesse si muovono in un altro modo nel rapporto con i docenti. C'è un'altra realtà, che è quella di relazioni vive che ci sono all'interno dell'università, e ci può portare non solo ad ironizzare, ma anche a criticare un tipo di situazione nella quale ciò che è vivo lo troviamo poi al di fuori di noi in ore studio, in ore uomo, in forme di quantificazione nelle quali poi dal punto di vista della lingua gli studenti si trovano alienati, c'è come una spaccatura tra questa dimensione viva ed un linguaggio che oggettiva quello che è un rapporto vivo. C'è una spaccatura così forte tra quella che è la realtà della situazione che è questa delle relazioni vive e il linguaggio che ci troviamo poi noi che invece è un linguaggio alienato, che crea all'interno dell'università una sofferenza, sia per quelli che la nominano come tale, sia tra quelli che non la nominano, non la sanno riconoscere, ma la vedono riflessa sugli altri.

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