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Il cestino del dolore

di Clara Bianchi

maestra elementare

Io sono una maestra elementare di Milano e volevo parlare su tre questioni. Ho intitolato la prima "il privilegio di essere maestra", un secondo argomento che mi ha sollecitato l'intervento di Andrea Bagni è l'importanza di momenti destrutturati a scuola e un terzo punto che mi tocca come madre profondamente, mi sono riconosciuta molto nella collega di Montepulciano, è quello della scuola superiore che tenterò di affrontare accogliendo l'invito dell'ultima collega di Firenze.
Anche perché è vero che ascoltandosi, nel momento in cui si pensano le cose, poi le si dicono due ore dopo, si riesce veramente con l'aiuto, con l'ascolto e la riflessione a rimettere su un binario più corretto quello che magari si pensa a volte un po' troppo emotivamente con poco sforzo di pensiero. A proposito dello sforzo di pensiero una premessa: anche a Milano ne abbiamo parlato nella riunione in cui ci siamo incontrate per vedere di cavare qualcosa rispetto ai temi di questo convegno, Cristina aveva posto con molta forza la necessità che le maestre comincino a scrivere. Io mi rendo conto che è un buco molto forte e lo è per il mio mestiere. Noi siamo molto brave a fare, spesso diciamo che non abbiamo molto tempo per scrivere, in più io personalmente ho proprio delle difficoltà di disciplina dello scrivere. Bisogna essere molto disciplinati e poco pigri per scrivere. Costa molto fatica e ci vuole molta umiltà, io da quando ho il computer scrivo molto di più perché ho superato il problema dello strumento penna e ho conosciuto una maestra di Milano, che secondo me è una persona straordinaria, che ha scoperto il computer 6 mesi fa, ha quasi 60 anni, e adesso passa le sue nottate scrivendo e collegandosi in internet. Accolgo quindi questa richiesta di cominciare a scrivere. Io credo però che forse la forma più idonea per scrivere come maestra e parlare di quel che succede nelle nostre classi, dove spesso succedono delle cose belle e importanti, spesso purtroppo ci sono delle miserie, è la forma del diario. Mi sembra che se io dovessi decidere quale tipo di registro linguistico scegliere, aderirei a quello che hanno scelto Cristina, Silvana e Chiara che è quello che più descrive il contesto che è quello del diario; ed è quello che io ho trovato nelle parole di Duccio Demetrio ad esempio, che parla molto di questa cosa che mi incuriosisce, tant'è che io collaborerò il prossimo anno scolastico con Duccio Demetrio della Facoltà di Scienze dell'Educazione di Milano su un progetto dentro la scuola e spero di ricavarne delle cose, di portarmi a casa un bagaglio.
Il privilegio di essere maestre. Una cosa che abbiamo detto noi maestre di Milano e quello che io ho detto di fronte ad una collega delle superiori molto depressa che ormai ha speso 35 anni della sua vita e dice "forse me ne devo andare", è che noi maestre abbiamo davanti un'età d'oro dal punto di vista dell'apprendimento. I bambini vengono a scuola fortemente motivati ad imparare, è molto potente in loro questa curiosità. Cristina l'ha citata come una forza vitale che ti prende e ti solleva e che crea molte sofferenze alle insegnanti di scuola elementare quando non c'è risposta a questa forza vitale. Quindi noi abbiamo un compito sicuramente molto facilitato e abbiamo a che fare con un modo di essere quasi naturale dei bambini e che non dipende dalla nostra bravura. Dove interviene la nostra bravura? Interviene nel saper valorizzare e mettere al centro loro. Una cosa che mi ha cambiato molto nel mio modo di fare la maestra, ed è una cosa che ho sentito da Marta di Firenze, è, ad esempio, accogliere di questa forza vitale che loro esprimono, anche il dolore. Io ho sempre avuto delle difficoltà come maestra, delle colpevolizzazioni molto forti rispetto al rendermi conto che a volte il mio lavoro provocava dolore, sofferenza. Io insegno matematica ai bambini; voi sapete da persone che hanno fatto matematica all'università o magari semplicemente a scuola che spesso ricordi dolorosi della scuola sono legati alla matematica. Io ho cercato di fare i conti con questa cosa perché ho avuto una maestra terribile da questo punto di vista. E parlare coi bambini del dolore che provano, la frustrazione, questo senso di perdita della stima di sé di fronte ad un problema sbagliato, a qualcosa che non viene, è un fatto molto serio tant'è che alcune mie colleghe, secondo me molto brave come probabilmente lo è stata Marta alle superiori, hanno istituito il cestino del dolore. In classe c'è questo cestino che è pieno di cioccolatini dove quando succedono fatti molto forti, pianti disperati, si può andare a prendere un cioccolatino.. A me è capitato, sono arrivata in una seconda nuova e ho trovato una situazione di disperazione coi bambini, quello é stato il momento in cui i bambini sono andati a pescare il cioccolatino. Ma la cosa importante è che loro vedevano che io riconoscevo e rispettavo il loro dispiacere, non lo negavo, non lo sottovalutavo, lo comprendevo e facevo un lavoro di rispecchiamento e di empatia e da quel momento nessuno più in classe mia se ne è fregato del fatto che sbagliasse delle cose. Si sbagliava, si sbaglia, si continua a sbagliare e da lì si riprende, si riparte con un discorso di fiducia. Nella scuola elementare una cosa che io ho imparato, oltre ad accogliere il dolore e la disperazione e farlo diventare un fatto di cui si deve parlare, è il discorso di lavorare in maniera diversa. Ad esempio farli lavorare molto a coppie, utilizzare i bambini come capaci di insegnare al compagno, dare responsabilità di tutoraggio in alcune attività difficili. Questo mi fa pensare al problema della strutturazione, dell'importanza di momenti destrutturati nella scuola. Cercherò di essere chiara e semplice ma di non perdere alcune cose ricche che ho imparato. Io da molti anni seguo dei corsi di aggiornamento, le attività di ricerca di due università, la facoltà di Matematica di Bologna e quella di Pavia, dove ho incontrato delle persone straordinarie che mi hanno insegnato molto e dove io posso dire di aver trovato conferma che nella ricerca universitaria a livello internazionale questo problema del pericolo della scolarizzazione del sapere, questo rompere il concetto di disciplina a sé stante è molto forte ed è scritto su molti libri. Io ho avuto l'impressione qui che molti di noi non sappiano ciò che già, almeno da quattro anni, è diffuso in tutto il mondo. Allora questi ricercatori, in particolare il primo ha lavorato molto sul concetto di destrutturare la didattica, tipo il modello Cidi di unità didattica, tutte quelle robe lì, quindi buttar via tutta questa cosa o almeno rendersi conto che questo è una didattica, ma che c'è una didattica di tipo diverso che è partita da Brousseau, un personaggio meraviglioso, un matematico dell'Università di Bordeaux che è partito dalla sua esperienza come maestro elementare, ha insegnato in tutti gli ordini di scuola, è arrivato all'Università, ha fatto delle ricerche importanti anche con l'Università di Parigi e con la professoressa Colette Laborde. Lì che cosa è successo? Hanno lavorato sul contratto didattico, su quello che io come insegnante non dico, ma dico tacitamente, faccio capire agli studenti. Un contratto che io non esplicito, ma che nella classe c'è; in più ha fatto capire che per i bambini, per gli studenti queste ricerche venivano fatte dalla materna al liceo l'importante è che io ponga un problema non strutturato all'interno della classe e da lì si parte e si lavora. È chiaro che per fare questo ci vuole una grossa sicurezza, però anche una grossa carica di convinzione. Il problema della scolarizzazione del sapere è stato studiato anche da matematici messicani che hanno preso i bambini di strada che erano bravissimi nel calcolo matematico, dopo pochi mesi di scolarizzazione questi non sapevano più contare. Si son posti il problema, Il professor D'Amore segue questa ricerca con un gruppo di ricercatrici, Laura Giovannoni, Berta Martini, che sono anche queste donne straordinarie, e si sono resi conto che il problema era proprio il fatto che questo sapere messo dentro la scuola perdeva di senso per questi bambini, non c'era più quella che loro chiamano, non leggetela in chiave leghista perché non lo è, "devoluzione" in ambito di apprendimento, assumersi la responsabilità di imparare, e quindi questi non imparavano e facevano molto fatica. Io vi prego di leggere queste cose perché c'è una sapienza che è frutto di anni di ricerca di persone che non si sono mai vergognate di dire che andavano a imparare dalle maestre delle scuole materne. Per il professor D'Amore era un fiore all'occhiello andare tra i banchettini, sui tavolini, sui materassi della scuola materna. E qui stanno facendo delle ricerche molto belle sull'introduzione dell'algebra a partire dalla scuola materna, in un modo, vi assicuro, splendido. Cosa è successo in questi ambiti di ricerca sulla didattica della matematica? Che si è parlato di tutto tranne che di matematica. Ai convegni di matematica venivano con me colleghe che facevano lingua, che poi magari decidevano che al ciclo successivo cambiavano non insegnavano più lingua ma insegnavano matematica, perché forte è stato il contagio di questo entusiasmo. Andando in questi luoghi con questi ricercatori si è cominciato a parlare di Divina Commedia, la matematica della Divina Commedia, il problema dei solidi pitagorici e quindi Escher. È vero che il sapere non può essere frammentato, che se tu lo frammenti non è più sapere. Questa cosa è vero che non è vissuta in tutta la scuola elementare, purtroppo è vero. Questo per dirvi che in molti luoghi lontani da questo, dove io ho scoperto quelle insegnanti di matematica dell'università di Roma che sono in relazione e contatto con Bruno D'Amore, con Mario Ferrari che sono i miei professori di matematica, ci sono persone che dicono queste cose in una veste magari diversa, probabilmente con un linguaggio diverso. Però le dicono da tempo e le promuovono in tutto il mondo. Nel senso che c'è stato un grosso convegno di matematica in cui queste cose sono venute fuori, dove veramente si parla di tutto tranne che della disciplina; si parla di filosofia, si parla di storia dell'arte, si parla della matematica di Dante, alle maestre di scuola materna. Sulla questione delle discipline non si parte da zero, ed io ho l'impressione che ogni volta si riparta da zero. C'è un'immensa bibliografia su questo.
Il problema della scuola superiore. Io ho mio figlio che va al liceo. Allora, è vero che i ragazzi portano in questa fase delle difficoltà, dei dolori che sono parte della crescita, però io credo che la scuola superiore faccia molto poco per guardare negli occhi gli studenti. Una delle cose che il professor Mario Ferrari ci ha fatto vedere di quello che già noi facevamo ma a cui non davamo valore è, nel suo decalogo è: "guardare negli occhi gli studenti, non farsi prendere dalla routine", una serie di cose che uno alla sera si mette sul tavolino e quando sei in crisi leggi e ti dici cacchio è per questo che sono in crisi, perché è un sacco di tempo che non guardo negli occhi gli studenti. È un disastro, io ho trovato nella scuola superiore un disastro. Ma un disastro proprio di sofferenza e di depressione degli insegnanti. Io ormai vado ai colloqui con il professore di filosofia di mio figlio e cerco di rincuorarlo. Questo è disperato, è uno di sinistra, l'ho incontrato con mio figlio alla manifestazione del 25 aprile e ha strizzato l'occhio a mio figlio che doveva essere a casa a studiarsi Platone per la verifica del giorno dopo. Disperato mi dice "sa, signora perché io mi presento sempre come insegnante elementare perché ogni tanto ho di quelli 'scioponi' con questi insegnanti delle superiori che non capiscono e quindi stanno male la scuola è diventata di massa e non tutti sono tagliati per il liceo". Io prima mi chiudo la bocca, ormai sono uscita ma sono stata iscritta alla CGIL per 18 anni, e penso 'cazzarola' ragazzi, dove siamo arrivati se ex iscritti allo stesso sindacato arrivano a dire così, non a pensarlo, magari uno lo pensa, però ha dei timori a dichiararlo, e dico "ma professor Santini io quando vengo alle assemblee e vedo i ragazzi, i compagni di Tommaso, a me sembrano di una bellezza, io mi innamorerei se fossi un insegnante delle scuole superiori di quello che avete davanti". Sono bellissimi, sono persone che quando nella classe ci sono stati 15 bocciati in terza, il 15 di settembre, Tommaso l'ha saputo ed è stato un bellissimo messaggio anche per lui, si sono seduti lasciando il banco vuoto a fianco. Come forte provocazione nei confronti dei loro insegnanti, giusto o sbagliato poi è da vedere, però come messaggio forte agli insegnanti: "guarda che qua, questo posto vuoto è il posto di Tommaso, l'altro posto vuoto è il posto di quell'altro che se ne è andato". Come fate a dire che avete davanti delle meduse, con gente che fa queste cose. Certo il problema è accettare questa sfida che fa male, cacchio, ma fa male anche a noi maestre scoprire che non puoi più essere solo direttiva, che ti devi 'disciulare', che non puoi andare a scuola e dire "bambini adesso si fanno i problemi" e invece devi dire: "ciao come stai, ma come mai hai quel…, cosa ti è successo stamattina", fare la battuta e sapere che questo fa parte del mestiere. Gli insegnanti delle superiori non capiscono che queste cose fanno parte del mestiere, non sono nello spazio della mia buona volontà come persona, no, no. Tu come insegnante sei chiamato ad avere questa attenzione, perché tu devi sapere che mio figlio imparerà le disequazioni se tu insegnante di matematica, oltre ad avere questi rapporti orgasmici con la lavagna, un giorno ti deciderai a dire:"adesso ragazzi qui non usciamo finché non la facciamo fuori con le disequazioni", trovi un modo. Il discorso delle gite scolastiche, io non sapevo che le gite scolastiche alle superiori sono arma di ricatto. Noi maestre delle elementari proponiamo ai nostri bambini di andare a scuola natura, anche per fare scienze sul territorio, quelle robe che sembrano novità nei curricoli noi le facciamo da vent'anni, oppure fare l'oasi nella scuola, lavorare sullo stagno, costruire…, ma anche perché io voglio vedere Valentino cosa fa di notte, cosa fa quando si alza, perché capire queste cose su Valentino quando dorme di notte, quando si sveglia al mattino e mi vede lì vicino, non è solo un tenero mammismo da parte mia. Mi dice anche come Valentino può crescere e può imparare matematica, mi dice degli spazi di autonomia e di autostima e mi fa vedere quali sono le cose che non funzionano, per cui è vero, sono due mondi completamente diversi. Fanno una fatica questi insegnanti delle superiori: gli si propone, noi come genitori, fate un progetto di tutoraggio come ha fatto l'istituto tecnico, provate. Niente, c'è una fuga, una paura di mettersi in gioco e, purtroppo, questo bisogna dirlo, una grande arroganza sul sapere. Noi maestre abbiamo fatto quello schifo di scuola, l'Istituto magistrale, siamo molto ignoranti, ci sentiamo molto tapine per cui ci stanchiamo un casino negli aggiornamenti. Gli aggiornamenti sono fatti al 75% della platea, non in questo caso e non è un caso, ma generalmente, da maestre di scuola materna ed elementare, gli insegnanti delle superiori non li trovi mai, non parliamo degli insegnanti di matematica. Se non ho capito male queste discipline, quando entrano nella scuola muoiono, perdono di senso e anche i ragazzi si spengono. Qui però è un lavoro che è tutto vostro e dovrete fare voi tutta la fatica, forse più sollecitati dagli studenti negli ordini più bassi.

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