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Sottrarre alla zona d'ombra

di Marta Baiardi

insegnante di scuola superiore

Qui si interviene quando ci tocca per cui tutto risulta asimmetrico, ma va bene. Sul tema del convegno: io ieri sono arrivata mi chiamo Marta e insegno alle famigeratissime superiori tardi perché alla mattina avevo scuola e purtroppo, l'ho detto stamattina a Cristina, non ho seguito tutto l'intervento delle maestre ma quello che ho sentito mi è bastato, poi qualcosa mi hanno raccontato a cena. Credo che le maestre ieri ci abbiano insegnato, io credo che se uno vivesse in una società un po' più fluida, questo equivarrebbe ad un bel corso di aggiornamento, tanto per usare delle sigle. Ci hanno insegnato nel doppio senso di mostrare e di imprimere che la parola contiene, ci hanno insegnato a partire da una loro parzialità di sentimenti, di vissuti, di rapporti, che ha assunto qui dentro una legittimità pubblica. È diventata quella che potremmo definire una bella operazione politica che è quella di sottrarre al silenzio queste zone di vissuto. Io sono molto felice quando questo succede, in ogni ordine di scuola, perché credo che sia un elemento portante di lettura della realtà che ci aiuta poi a vivere. Non credo invece nell'autoriforma bisogna imparare ad essere un po' polemici come dice la mia amica insegnante Carla Ammannati che dice "qui c'è polemos e eros" non credo, invece, come ha fatto Franco Lorenzoni stamattina, che ci aiuti a ragionare l'opposizione binaria tra ordini di scuole, nidi, materne, elementari da una parte e dall'altra le superiori. Questo non ci aiuta perché è una sola idea, quindi a me sembra un po' povera per quello (mentre sono molto d'accordo sull'andare a imparare dai livelli più bassi, a tutti i livelli, io allargherei spregiudicatamente, si impara ovunque e questo lo dico ai miei studenti e alle mie studentesse) poiché questo rischia di diventare lo stereotipo rovesciato della riforma per la quale, invece, il processo di crescita si identifica con la crescita delle prestazioni. Questo è il mio modo di riassumere la riforma che abbiamo in corso. Non lo so per l'Università, ma quello che ho sentito e anche quello che ho letto dal collettivo politico degli studenti, così si firmano, dell'Università di Firenze, me lo conferma. Ecco io voglio rassicurare la signora che stamattina diceva che non aveva sentito delle voci contrastanti; io mi iscrivo, invece, all'anagrafe delle voci contrastanti la riforma, rassicuro la signora, nell'autoriforma ci sono voci contrastanti la riforma come la mia. E quindi ritengo che non ci aiuti a ragionare in termini di opposizioni di cicli di scuola, di ordini di scuola perché questo, purtroppo è quello che già succede per un verso e per l'altro. In questo modo noi rovesceremmo soltanto, invece noi dovremmo fare emergere da tutti gli ordini di scuola le proprie specificità che sono specificità di ricchezza e su queste specificità fare la luce, sottrarre al buio, alla zona d'ombra, alla zona grigia tutto quello che accade dentro le nostre scuole quindi noi andiamo senz'altro a imparare dalle maestre, io credo di aver copiato a man bassa dalle maestre elementari di mio figlio. Ho detto in altre occasioni, ho raccontato proprio qui di quella bellissima filastrocca in cui tutti i bambini dovevano fare la rima, rimane emblematico questo albanese Giorgi Brela arrivato in barca a vela, o Leone portato per l'azione; doveva essere una rima non offensiva. Io ho fatto fare subito dei sonetti ai miei alunni con i loro cognomi e nomi. Io credo che si impara davvero da tutte le parti: io ho imparato dalla mia tirocinante, si chiama Silvia, è andata via ieri con grandi saluti e abbracci degli studenti. Lei, quando eravamo stufi di leggere I Malavoglia, ha fatto fare delle interviste a questi personaggi e veniva fuori di tutto. Il piano del nostro farsi insegnare, nostro degli insegnanti, nel senso che dicevo prima di imprimere e mostrare, credo che sia importante. Come credo che sia importante questa cosa degli spazi che ha detto Lorenzoni: io tornerò a scuola e farò immediatamente un angolo dell'arrabbiatura loro la chiamano incazzatura che avevamo già messo in cantiere con gli studenti. Però uno quando si arrabbia cosa fa? Io ho tre classi di cui due interamente maschili e una con tre ragazze, due Sare e un'Ilaria. Su questa cosa delle rabbie c'è molto da ragionare come dicevi anche tu e come tutti quelli che frequentano questi nostri giovanotti possono ben vedere. Quindi bisogna istituire un momento di pensamento di queste cose. Noi abbiamo anche istituito il premio sgarbatones, il premio che viene affidato allo studente più sgarbato di tutti, quindi bisogna cominciare a nominare le cose che fanno male sul piano delle buone maniere. Abbiamo l'esperienza del cerchio che ho imparato dalle maestre del nido di mio figlio. Ci sono, nelle scuole zone d'ombra e di luce, io tanto ho imparato e lo dico sempre da maestri e maestre elementari, mentre dal nido no. Il nido era un luogo triste, di parcheggio. Io non so se era ansia materna, era un luogo tristissimo il nido di mio figlio. Anche le scuole elementari, una del figliolo della Marina, amica mia, è un luogo triste e Davide si è trovato a dover scrivere 100 volte "non darò noia ai compagni", roba dell'altro mondo nel senso che forse uno pensava che si sarebbe risolto, ma nemmeno nel libro Cuore facevano queste cose. Quindi la scuola italiana è una realtà molteplice, noi dobbiamo evitare di generalizzare le nostre situazioni. Ecco questo io penso che sia una chiave per capire quanto c'è da essere arrabbiati, andrò io nell'angoletto dell'arrabbiatura, con la Riforma; perché la Riforma, da questo punto di vista, non solo ha eretto un modello astratto a modello universale e prescrittivo, ha anche fatto un'operazione di annullamento di tutti i nostri vissuti, nostri di insegnanti maschi e femmine e nostri di studenti e quindi di livello in livello di tutti quelli che ci vivono dentro. Non si può più nominare qualcosa che non rientri all'interno della riforma. Questo è un problema, fa problema. Poi, certo, noi staremo dentro la Riforma, noi siamo già dentro la Riforma; l'autonomia, che secondo me è l'aspetto più devastante di quello che sta accadendo, è già in atto. Io parlo delle superiori e degli istituti tecnici in particolare. Sapete che la maggioranza degli studenti non va al liceo, al liceo scientifico e al classico va il 25%, gli altri vengono quasi tutti da noi. Lì è già in atto l'autonomia, l'apertura della scuola al territorio. Come si è declinata? Noi l'abbiamo analizzato, abbiamo pensato alle varie aziendalizzazioni denunciate. Le denunce però vanno articolate bene. Dov'è l'aziendalizzazione? Dove? Nella segmentazione del tempo e degli spazi. Quando ho davanti una giornata di 24 ore e posso fare quello che voglio, non è lo stesso che avere davanti le stesse 24 ore segmentate, un'ora devo fare così, un'ora devo fare così, che sarebbe la traduzione metaforica che mi viene ora dei moduli. Non è lo stesso se io decido che faccio L'inferno di Dante a seconda delle persone che ho davanti, in una settimana, due mesi, tre mesi. Non è uguale né per Dante, né per me, né per loro. Allora la segmentazione nelle superiori, questo lo dico per chi ha la fortuna di star fuori, la segmentazione dei saperi è una cosa perniciosa, non tanto perché i saperi non possono essere fatti in una settimana (chi se ne frega), ma perché obbliga il tempo ad una torsione a cui noi non eravamo abituati nemmeno con l'esame di maturità vecchio stile. Qui ci sono tutta una serie di riflessioni che, secondo me, andrebbero fatte. Lo sforzo non è adesso quello di denunciarle ma quello di articolarle là dove avvengono perché sono in corso. L'altra polarizzazione che secondo me non ci aiuta è quella tra simbolico versus politico, qualcuno stamattina diceva sindacale. Per esempio questa meravigliosa esperienza di Cristina e colleghe, avviene in una scuola a tempo pieno. È un grande guadagno quello che loro ci raccontano in termini teorici, teoria da guardare ecc.. Ma questa scuola a tempo pieno va a finire, perché nel riordino dei cicli così mi hanno detto le mie maestre delle elementari, le maestre di Beniamino mi hanno detto che ci sono queste 30 ore che vanno a colpire il tempo pieno, che già era stato colpito ecc., ecc., al cuore. (obiezioni dal pubblico) Ecco da quello che hanno detto loro si arriva a 40 con una formulazione organizzata dalle province e dai comuni che è attuata da appalti che vengono dati a cooperative, questo è quello che mi hanno detto le maestre in Toscana. Esiste un comitato, poi può darsi che non sia vero, riferisco perché non sono alle elementari, però noi abbiamo fatto due riunioni dedicate a questo. Ci hanno chiamato come genitori, se non è così me ne rallegro. Però il tempo pieno, l'esperienza dei moduli questo rispetto alle elementari ci devono fare ragionare sulle direzioni che queste cose prendono. Per quanto riguarda il rapporto con le creature, come le chiamavano loro, io credo che la domanda per noi è: noi dobbiamo focalizzarci là dove siamo e pensare là dove siamo: io sono in una scuola dove ci sono degli adolescenti. L'adolescenza, intendo anche le medie, credo che sia difficile da nominare, perché accadono a loro, nell'adolescenza, tutta una serie di cose. Entrano nella loro vita l'amore, la sessualità, per certi versi la violenza, il conflitto con i genitori, con gli adulti, con le madri, entra un rapporto con le nuove tecnologie, mai come quest'anno hanno avuto delle videodipendenze così accentuate. Anche il rapporto col corpo che ieri mi sollecitava, noi dobbiamo saper dire qual è il paradigma che noi viviamo con loro in un rapporto che non è più il materno avvolgente delle elementari. Perché da lì siamo uscite e questa è un'esperienza che facciamo come madri e come figlie, c'è un momento in cui qualche cosa cambia. Tutto cambia diceva ieri Cristina; allora in che senso cambia questo? In che senso noi ci rapportiamo agli adolescenti? Per esempio il toccarsi, il toccarsi non è più così possibile. Io ho tutti gli studenti con i capelli ritti, a un certo punto, osando, passando tra i banchi ho chiesto permesso e toccato questi capelli col gel. È un contatto che vuol dire delle cose per me e per loro, però non è la prassi. C'è una distanza tra i corpi, però i loro corpi parlano perché sono corpi segnati dal piercing, dai tatuaggi, parlano del loro rapporto col sociale. Parlano e c'è qualcuno, il collega o la collega a cui fanno schifo. Noi delle superiori e delle medie dobbiamo ragionare su questi temi: il corpo declinato a quell'età lì, la parola e i silenzi, i conti al triennio, in particolare gli ultimi due anni. Sono giovani uomini e donne che per esempio possono protestare, possono entrare in dialogo con noi in una maniera diversa da quella che poteva essere la mia esperienza negativa del nido, in parte negativa anche alla materna, non delle elementari, i bambini non protestano da questo punto di vista, i bambini più piccoli subiscono di più. Allora i nostri studenti hanno invece delle forme di protesta davvero interessanti. I miei hanno scritto su un giornalino, in piena autonomia, hanno fatto tutta una roba trasgressiva facendo delle bellissime caricature. Li dobbiamo ascoltare di più e ascoltarli vuol dire saperli guardare. A proposito del guardare, sui saperi credo abbia detto molto l'intervento di Guido; io volevo dire che secondo me, non credo che ci sia una dicotomia così irriducibile tra relazioni e saperi, mentre io sento come forti, l'ho già detto, altre dicotomie. La banca e i saperi, la banca e le relazioni non c'entrano niente, i crediti, i debiti e non tanto per le parole, ma per quello che significano nella nostra quotidianità.
L'ultima cosa che volevo dire, su questo abbiamo anche un po' scritto e la farò brevissima, è che secondo me è in corso un interessante, e non sempre buono, è in corso un cambiamento che è una mutazione antropologica nella categoria docente, sottolineo l'espressione. Questa sì, attuata a partire dalla Riforma. La Riforma distribuisce prebende, le ridistribuisce e riorganizza una gerarchia. Chi è dentro questi processi sa cosa intendo; ci sono molti modi di riorganizzare una gerarchia che riguarda anche delle miserie economiche che però hanno sempre valore simbolico come abbiamo bene imparato. La gente si vende l'anima anche per tre lire e per il riconoscimento che ne deriva e questo purtroppo, per quanto io posso vedere, è interclassista e intersesso, cioè lo fanno anche le donne nella scuola. C'è questa possibilità corruttrice, la rigerarchizzazione che la Riforma porta con sé: ruoli, ruoletti che si ricavano, zone di potere, feudi. Questa è una ridistribuzione del potere in cui gli insegnanti si trovano immessi per la prima volta, la categoria si trova immessa per la prima volta nella possibilità di un nuovo organigramma, la carriera. La carriera a Siena è la corsa che fanno i cavalli nel Palio. Ha a che vedere con la corsa, con la competizione. Ecco io credo che su questo bisogna dire dei bei no e non credo che questo faccia bene né alle relazioni, né ai saperi e forse nemmeno ai crediti e ai debiti. Credo che questa sia una di quelle tendenze perniciose che ha preso la Riforma e che è stata perseguita coscientemente. Un mio amico che è andato al seminario dei vicepresidi mi diceva che la parola d'ordine è ottimizzare le risorse umane e questo avviene in mancanza di soldi. Io non credo che stare un anno meno a scuola si faccia del bene ai nostri studenti come diceva Lorenzoni, perché se la scuola fosse un luogo da cui fuggire, forse allora fuggirei anch'io. Non sono ancora fuggita e allora penso che se ci stiamo ci stiamo il meglio possibile. Senz'altro però un anno meno a scuola fa risparmiare, provate ad interpretare i provvedimenti che arrivano sulla faccenda del risparmio e questa è una sicura chiave per capire dove si va a finire. Allora però se il risparmio e la miseria, questa volta non simbolica ma di investimento, sono l'unico asse che domina il processo riformistico che ci è capitato e che è in corso, da questo punto di vista la nostra collocazione interna alla scuola, alle nostre stesse vite cambia. Io non credo che tutto resti uguale nemmeno nelle nostre classi, nemmeno nel mio premio sgarbatones, nel cerchio di Cristina. Questa coniugazione, questo mettere insieme, questo felice contaminare ci aiuta a guardare alla scuola e a cosa potremo fare per starci meglio tutti quanti.

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