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Il bambino di niente

di Bardo Seeber

maestro elementare

Sono un maestro e insegno in una scuola elementare in un paese a trenta chilometri da Roma.
La discussione che c'è stata fino ad adesso, mi ha portato alla mente una cosa diversa, un convegno di psichiatria un po' particolare perché non organizzato da psichiatri, ma da familiari degli psicotici. In questo convegno intervennero le tre componenti: psichiatri, famigliari e matti. Uno psichiatra fece un intervento emotivamente forte sostenendo che nel suo rapporto terapeutico diceva che non è possibile avere un rapporto paritario non riusciva a uscire dalla contraddizione per la quale attraverso questi rapporti si andava via via costruendo da una parte la dipendenza e dall'altra l'onnipotenza. Il rapporto medico paziente, in questo caso psichiatra psicotico, creava questa situazione dalla quale non riusciva ad uscire. In questo convegno, di cui non mi ricordo il titolo, la parola LUOGO era al centro del convegno stesso e non credo che fosse un caso. Per uscire da questa contraddizione si impegnò in un'altra direzione: insieme ad una cooperativa integrata si impegnò per organizzare un luogo di lavoro e chiamava questa attività, questo lavoro che andavano costruendo (non ricordo che lavoro fosse ma non è fondamentale), la costruzione di questo lavoro insieme, quindi in una situazione di integrazione, chiamava questa cosa l'oggetto di mediazione. Ma mentre le azioni terapeutiche erano un oggetto di mediazione tutto dalla parte dello psichiatra, la cosa fondamentale era che l'oggetto di mediazione di questa costruzione del lavoro era un oggetto di mediazione neutro.
In questo rapporto non paritario tra medico e paziente c'è un oggetto che in certi casi poteva vedere il paziente protagonista ribilanciando un rapporto non paritario. Io credo che forse la maggior parte dei rapporti non sono rapporti paritari: sicuramente non lo sono i rapporti tra genitori e figli e quelli tra insegnanti e alunni, bambini, ragazzi e ragazze. Io ho una figlia che sta in quarta superiore e dai suoi racconti e dalla memoria delle mie superiori, io ho la sensazione che quelli che dovrebbero essere gli agenti di mediazione, cioè le discipline, i ragazzi le chiamano le materie, non siano un oggetto di mediazione neutro. La sensazione che ho in base ai miei ricordi di studente e parlando con mia figlia è che la visione della scuola è questa: degli insegnanti attorno ai quali ci sono delle protesi, dei prolungamenti che stanno tutti dalla parte dell'insegnante. La scuola con la sua architettura, i banchi, i corridoi, le classi, la lavagna, i libri, le materie, la scansione del tempo, tutto è stato ricordato, è tutto come una enorme protesi, una piovra intorno all'insegnante. Non sono oggetti neutri, oggetti che hanno valore in sé al di fuori del rapporto scolastico. Questo dovrebbe essere l'oggetto neutro: qualcosa che abbia un valore in sé a prescindere da quei rapporti. Io adesso provo a pensare ad alcune cose che potrebbero essere oggetti di mediazione neutra. Senza parlare di scuola, uno va in un parco pubblico o su una spiaggia vede a volte genitori e figli, padri e figli, madri e figli in un rapporto più disteso da quello di casa. Se, ad esempio, il bambino costruisce un castello di sabbia sulla spiaggia può avere un rapporto con il padre che non è paritario, ma più alla pari perché ha delle intuizioni che valgono anche per il padre.
Arrivando alla scuola, io quest'anno ho una seconda, abbiamo letto Pinocchio ed è stata una lettura abbastanza appassionante. La verifica che quel libro, in quel caso, si è trasformato in oggetto di mediazione, l'ho avuta arrivato al penultimo capitolo. Il libro l'ho letto portando in classe, dov'era possibile, anche gli oggetti descritti nel libro, che si è quindi un po' materializzato in classe. Arrivato al penultimo capitolo ho aspettato un giorno che mi permettesse di ragionare sulla conclusione del libro; sono passati alcuni giorni e i bambini premevano per continuare la lettura. In attesa di quest'ultimo giorno ricevo una telefonata a casa; mia moglie mi dice che al telefono potrebbe esserci una mia alunna. Questa bambina al telefono mi dice:"Maestro, io ho letto l'ultimo capitolo di Pinocchio e adesso te lo racconto". Io sono stato al telefono dieci minuti, un quarto d'ora ad ascoltare l'ultimo capitolo di Pinocchio, probabilmente la bambina pensava che neanche io lo avessi letto e voleva raccontarmelo. In quel momento ho capito che quell'oggetto che avevo interpretato io, l'ho letto prevalentemente io, era diventato non solo uno specchio di sé stessi anche quello, mi è piaciuta l'idea dello specchio del carattere, di formazione del carattere, ma era diventato un oggetto che aveva permesso un dialogo.
L'altra esperienza con i bambini di quest'anno è partita da un vuoto. Un bambino si era sdraiato su un cartone, avevamo fatto la sagoma e avevamo recuperato questa sagoma per fare un altro lavoro. Per terra era rimasto il vuoto con il cartone intorno che era destinato ad essere buttato via, eliminato. Ma in quella sagoma era rimasta la forma del bambino. È stata notata questa cosa e si è visto che è piaciuta. Abbiamo attaccato questa sagoma vuota alla parete, erano gli ultimissimi giorni di scuola, e piano piano questo vuoto si è riempito di tantissimi significati e queste visioni erano a volte dei bambini, a volte delle bambine, a volte mie, dell'altra maestra e alla fine è diventato il bambino di niente, era un maschio, proprio un bambino di niente.
Un giorno ho proposto ai bambini: "Provate ad inventare una storia con il bambino di niente". Sono venute fuori varie storie e una è piaciuta in modo particolare e si è deciso, ponendo i disegni in sequenza, di scrivere proprio un racconto. Ed è venuto fuori piano piano, giorno per giorno, inventato insieme con lunghe discussioni, quando non c'era l'accordo si votava per la scelta che più piaceva alla maggioranza (la maggior parte delle volte c'era accordo dopo la discussione). È venuto fuori un lungo racconto, c'è voluto molto tempo e si è deciso di trasformare questa cosa in uno spettacolo.
Mentre proporre ai bambini Pinocchio, è stata una decisione mia, quest'altro evento è stato un oggetto di mediazione casuale. Io ho lavorato molto su questo quest'anno. Abbiamo fatto lo spettacolo prima di Pasqua e la maggior parte dell'anno se ne è andato su questo lavoro. Devo dire una cosa, io sono inserito quest'anno, per la prima volta, in questa seconda. Se ho potuto fare tutto questo è perché in prima c'è stata una maestra che ha lavorato moltissimo sulla didattica e io ho vissuto di rendita e continuo a ringraziarla. In questa seconda, tutti bambini, erano in grado di scrivere qualcosa autonomamente. In questo lavoro, per un certo periodo ha lavorato tutta la classe, poi si sono divisi in gruppi di due e hanno scritto una parte del racconto, c'erano degli atti che si dividevano tra i gruppi. Tutto questo l'ho potuto fare perché una maestra ha seguito quello che Andrea Bagni chiamava "l'orrore comodo della routine". Io ho vissuto di rendita e qui mi chiedo se si può eliminare completamente la routine perché non è possibile lavorare continuamente sullo straordinario, non sarebbe più straordinario. Forse la routine è una parte che ci serve comunque per andare avanti. L'importante è che a partire da questa routine scattino dei momenti, che non saranno tutto l'anno, dei momenti in cui nasce qualcosa di profondamente significativo, che sia un valore in sé e che non metta l'insegnante in una situazione di onnipotenza, non sia la protesiprolungamento dell'insegnante, ma sia qualche cosa al quale si possa fare riferimento non da pari, ma in una situazione in cui c'è qualcosa con cui ci si confronta e le intuizione di ognuno hanno pari valore. Si può costruire qualche cosa insieme a partire da questo.

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