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Tempo, tempo pieno,
tempo del desiderio di insegnare

di Piero Castello

maestro elementare

Sono maestro elementare, insegno in una quarta elementare a tempo pieno alla Magliana. Sono stato un po' tirato per i capelli a fare questo intervento, un po' da quello che diceva Luisa Muraro, dicendo "dobbiamo stare dentro le cose che succedono" e dall'altra da quello con cui (spero sia una provocazione) ha chiuso il suo intervento Franco Lorenzoni. La conclusione era: "meglio un anno di meno di questa scuola". Allora io credo che, appunto per stare dentro le cose che succedono, bisogna impegnarsi a conoscerle, a capirle, a intenderci, a nominarle. Allora mi domando: tante cose che sono state dette qui belle, bellissime: i silenzi, l'organizzazione degli spazi, le relazioni significative, lo spazio delle diversità, l'ascolto, insomma tutto, tutto quello che stiamo facendo, le parole che usiamo per descrivere il nostro lavoro, avranno ancora possibilità di esistere in una scuola della riforma dei cicli, con un anno di meno, con un tempo pieno che viene cancellato, con un tempo prolungato nella scuola media che viene altrettanto cancellato, con trenta ore a regime nelle superiori, con il 2040% scelto dalla scuola. Questo del 2040% del curriculum locale è una cosa di una violenza: io ho parlato con insegnanti di Genzano, un istituto professionale dove questo si sta attuando, un ingresso del mercato violentissimo, un mercato che incomincia tra le lobby dentro la scuola tra insegnanti di diverse discipline, ma che poi trasmigra. Arrivano i colleghi del preside, arrivano i finanziatori. Allora questa cosa dei tempi secondo me è emersa fortissimo: anche quando abbiamo parlato degli spazi, abbiamo spesso fatto riferimento ai tempi. Perché cambiare la classe, per esempio, è una cosa che la mia collega non accetta, spostare i banchi della classe. Bisogna che io preveda di cambiarli quando arrivo, ma che poi mi preoccupi anche di metterli a posto. È proprio un fiato sul collo insomma questo del tempo. Possiamo pensare a una scuola in cui i tempi non siano più sufficienti, non siano più quelli delle relazioni. Io penso che questa è la scuola che ci stanno approntando e, a fronte di questo, c'è un pensiero, una didattica che ci viene suggerita, quella modulare, che fa strage del nostro desiderio di fare scuola. Con Bardo ci conosciamo da quarant'anni e la cosa che ci unisce è forse quella che abbiamo scelto di fare i maestri da altri lavori. Proprio ci ha sedotto la scuola, ci ha sedotto questo tipo di relazioni che potevamo pensare costituisse il fondamento dell'insegnamento e dell'apprendimento. Allora io penso che le cose che stanno succedendo sono anche questo, molte altre cose sono state dette importantissime, ma una delle cose principali con cui dovremo fare i conti è proprio questa dei tempi. Per cui ecco, facciamoci i conti. Io sento un desiderio negato, se mi tolgono il tempo pieno.
Ancora una cosa sul tempo pieno: quando Marta Baiardi diceva che nella sua scuola le maestre sono allarmate, io non ho dubbi, non sono allarmate, il tempo pieno non c'è.
Nelle due risoluzioni parlamentari che hanno accompagnato il programma quinquennale di attuazione, non c'è, il tempo pieno è cancellato. Se ho capito bene frequentando il sito della CGIL, quello per cui ci si sta battendo è la possibilità di fare un indegno doposcuola al posto del tempo pieno, è soltanto questo, il testo non suggerisce altro, la parola "tempo pieno" non la troverete mai e allora mi va di spendere qualche parola sul tempo pieno.
Il tempo pieno non è stata la risposta a un'esigenza sociale. La risposta all'esigenza sociale, al bisogno, a Torino veniva già data. Nel 1967, quando sono nate le prime esperienze di tempo pieno a Torino e all'Isolotto di Firenze, quella del prolungamento era una domanda soddisfattissima: c'erano a Torino più di mille classi di doposcuola nei quartieri soprattutto degli operai immigrati. La congiunzione felice della lotta nei quartieri con gli insegnanti democratici ha portato al tempo pieno che voleva cancellare quell'ignominia, quell'ulteriore separatezza, quell'ulteriore discriminazione in cui consisteva il doposcuola.
Questa riforma ci ripropone un doposcuola molto probabilmente proprio d'intesa con gli enti locali, con un'ulteriore difficoltà di gestione, di rapporti, di relazioni che sarà proprio incredibile.
Il tempo pieno ha costituito quindi un modello di accettazione di diversità nei dialetti, nelle lingue, nelle capacità, nei bambini handicappati, è stato questo. Non fare i conti anche con questo aspetto della riforma secondo me è un po' delittuoso, pensare ancora una volta che sia sufficiente scavarsi la propria nicchia didattica nella propria classe, magari addirittura nella propria scuola, già molto difficile.
Invece bisogna pensare che il destino che ci viene approntato è anche questo con questo tipo di tempo.

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