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La parola crea la realtà

di Lucia Bresci

insegnante scuola comunale dell'infanzia "La Balena" di Pistoia

Perché possiate visualizzare l'ambiente della scuola dove lavoro, è necessario che vi consegni alcuni dati.
E' una scuola grande, a tre sezioni allargate e divise per età. Gli iscritti sono mediamente 108, le insegnanti sono tre per ogni sezione, le collaboratrici, che svolgono prevalentemente mansioni di pulizia degli ambienti, sono in tutto cinque. Abbiamo la cucina interna con tre cuochi.
Ad ogni sezione sono destinate tre stanze per le attività e una stanza per il pranzo; c'è anche la stanza del letto per quei bambini e quelle bambine di 3 e 4 anni abituati al sonno pomeridiano.
La compresenza delle tre insegnanti della sezione va dalle ore 10 alle 14. Dalle ore 10 alle 12 il grande gruppo-sezione si suddivide in tre sottogruppi che vanno ad occupare, a rotazione, i tre spazi : la stanza dell'accoglienza, il morbidone, la stanza dell'attività specifica. Quest'ultima varia in base al gruppo di età: per i tre anni c'è la stanza della pittura-manipolazione, per i quattro anni c'è la stanza del teatro, per i cinque anni c'è la biblioteca.
Il collettivo generale di tutto il personale della scuola è a scadenza mensile. Qui si prendono decisioni organizzative (rotazione negli spazi comuni di attività, modifiche all'ambiente, documentazione, incontri coi genitori, feste, acquisti ecc). Qui si parla del nostro fare con i bambini e le bambine.
Si parla con calore, delle difficoltà, incapacità, dubbi, come dei buoni risultati raggiunti. Il collettivo è il luogo dove circolano esperienze, idee, pratiche; quelle individuali e quelle risultanti dal lavoro svolto in comune. E' nel collettivo che prendono corpo intese e contrapposizioni, è qui che prende corpo anche il riconoscimento del valore che è proprio di una persona.
Un'idea si è sedimentata in noi e ci fa da sfondo: il tempo che le bambine e i bambini trascorrono insieme a scuola deve essere un tempo piacevole. Il luogo deve essere un luogo di benessere. Le bambine e i bambini stanno bene quando si sentono riconosciuti e rispettati come individui. La nostra energia merita di essere spesa per creare un sano rapporto di relazione (tra bambini/e, tra noi e loro, tra noi adulte, tra noi e le famiglie) ancor più che per elaborare i vari progetti di lavoro, anche se importanti.
L'idea condivisa si è sedimentata nel corso degli anni e attraverso varie occasioni (intercollettivi tra più scuole, corsi di aggiornamento significativi, letture fatte insieme ). Il punto di vista della pedagogia della differenza è stato sicuramente l'avvio di un cambiamento ed è tuttora un elemento forte del nostro operare.
Nel '90 partecipai, insieme ad altre insegnanti di nidi e materne, al gruppo di riflessione sul pensiero della differenza condotto da Laura Cipollone.
Laura ci fece parlare di nostra madre, anzi, ci fece scrivere di lei. Ci fece andare col pensiero alla ricerca delle figure femminili autorevoli che avevano segnato la nostra storia personale. Ci indicò la nostra genealogia.
Vedemmo la gabbia dove era rinchiusa l'immagine della nostra presenza nel mondo, immagine regolata sul registro della complementarietà col maschile.
Ci parlò della disparità, del senso che aveva dar valore a noi stesse e riconoscere "il di più che c'è nell'altra".
In questo contesto, in questo panorama nuovo, capimmo l'importanza di nominare le bambine, di farle emergere, di farle uscire dal limbo del neutro plurale. Laura ci disse anche che dovevamo chiedere alle nostre colleghe che "ci sostenessero in questo nostro desiderio".
Era un'assunzione di responsabilità e come tale non fu facile per noi. Dissi a Daniela e Patrizia (in un primo momento solo a loro che sono le colleghe di sezione) che dovevamo provare a rivolgerci al gruppo pronunciando "bambini e bambine". Così facemmo e la nostra sensazione fu che le bambine non aspettassero altro. Captarono immediatamente il segnale e altrettanto immediata fu la loro risposta. Ci accorgemmo di aver consegnato ai bambini e alle bambine un elemento in più per la loro lettura della realtà, quello della dualità. Molti episodi ci confermarono questo loro processo di elaborazione e dovemmo allertarci velocemente rispetto alla nuova incalzante richiesta di riconoscimento del sé espressa dalle bambine. Ci accorgemmo anche che nominare una cosa significa farla esistere.
Dal'93 le insegnanti di nidi e materne che parteciparono a quei primi incontri ebbero il coordinamento di Laura Cappellini, psicopedagogista consulente presso l'Assessorato alla Pubblica Istruzione di Pistoia, la quale ha tenuto le fila del lavoro comune, ha legato le nostre esperienze, le ha sostenute e incoraggiate; ha fatto sì che queste e le idee che circolavano tra noi trovassero organicità non solo a livello operativo ma anche sul piano dell'elaborazione scritta. Abbiamo così potuto trasmettere il percorso e i contenuti della nostra esperienza nel Dossier pubblicato da "Bambini" nel numero di Gennaio del '99.
Nella scuola dove lavoro è visibile il segno dell'attenzione che poniamo per rendere gli spazi agibili da maschi e da femmine. Per far questo abbiamo dovuto renderci conto di come si muovevano gli uni e le altre, di quale tipo di approccio avevano con lo spazio, coi giochi, coi materiali, delle modalità e tempi diversi del loro relazionare, degli angoli da loro preferiti ecc.
Abbiamo scoperto ad esempio che il tappeto delle costruzioni non è un luogo neutro, poichè le bambine raramente vi giocano senza la presenza della maestra, mentre quasi sempre è occupato dai maschi. Abbiamo valorizzato gli spazi raccolti (la casina, il vano delle scale) perché lì si dirigono di preferenza le bambine.
E' importante quindi connotare lo spazio con segnali del maschile e del femminile: il trono nel "castello" ha due posti, al muro sono appese l'immagine del re e quella della regina, i travestimenti sono da maschi e da femmine.
E' importante specificare sempre, col linguaggio, le due presenze: "i camerieri e le cameriere" servono a tavola, gli "orsi e orse" sono i bambini/e di tre anni, le " balene e balenotti" quelli/e di quattro, i"cavalli e cavalle" quelli/e di cinque. E importante non dare per scontata la validità "neutra" del nostro progetto di lavoro e stare attente alla risposta che riceviamo perché spesso è indirizzata prevalentemente a uno dei due generi.
Daniela, nello spazio del gioco simbolico destinato al gruppo di "balene e balenotti", caratterizzato dalla presenza del "mare" (il morbidone) e della "nave" (il vano delle scale), si è accorta che alle bambine mancava un personaggio chiave per intessere il loro gioco del far finta. I bambini invece disponevano dei loro eroi consolidati: Batman, Superman, Zorro, i pirati, i capitani della nave.
Quel contesto parlava poco alle bambine?
Daniela evoca il personaggio della sirena e le bambine lo fanno proprio.
Ben presto hanno a disposizione le "code" da sirena (cucite dalle mamme), le passate con le stelle brillanti, e i fogli dove disegnano portano fotocopiata in un angolo una piccola immagine di sirena. Su altri fogli, l'immagine di Batman e Superman.

Nella scuola è visibile anche il tipo di approccio che abbiamo instaurato con la famiglia. La documentazione appesa alle pareti narra i vari momenti della giornata e inquadra gli spazi destinati alla sezione; il "diario di bordo", all'ingresso di ciascuna sezione, racconta gli avvenimenti quotidiani; gli album personali che vengono consegnati alla fine di ogni anno contengono la risposta che ciascun bambino o bambina ha dato alle proposte fatte dalle insegnanti.
La documentazione ci permette di chiarire il significato di un progetto di lavoro, di far conoscere gli aspetti organizzativi della giornata a scuola, di raccontare un po' del tempo che i bambini e le bambine trascorrono con noi e tra di loro; è un contatto ma non è un rapporto con la famiglia. Quello lo si può costruire solo dal vivo e nel tempo ed è prevalentemente con le madri che lo stabiliamo.
I padri non provano più, come una volta, l'imbarazzo nel compiere i gesti della cura e cresce il numero di quelli che, nell'economia del tempo familiare, hanno il compito di accompagnare o riprendere il figlio/a da scuola, ma sono in minoranza rispetto alle madri che lo fanno. Per questo motivo e per un'intesa di genere, noi maestre nominiamo spesso le madri quando parliamo coi bambini/e: "chiedilo alla mamma", "fai vedere alla mamma", "cosa ne pensa la mamma?", "la mamma ha detto che..". Nella mente dei bambini e delle bambine la figura della madre e della maestra sono vicine. E' piacevole per loro e rassicurante perché li/le fa sentire al centro di un contatto. Questa vicinanza rafforza l'autorevolezza di entrambe. La stessa cosa avviene rispetto alle maestre le quali, quanto più mostrano sintonia tra di loro, tanto più acquistano forza e autorevolezza agli occhi dei bambini e delle bambine.
Anche il nostro rapporto con le madri si basa sulla vicinanza che non è amicizia né confidenza ma riconoscimento reale e reciproco.
Vivere la propria professionalità come postazione, sfruttare la distanza del ruolo, non aiuta certo la costruzione del rapporto. Altra cosa è mettere serenamente in campo la propria competenza e il proprio sapere al momento utile.
La madre che ci chiede parere e consiglio lo fa perché ci ritiene capaci di aiutarla, perché sa di compiere la grande opera di crescere la propria creatura e ci vuole accanto. Di questo si tratta: di volere la stessa cosa.

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