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Come maestra e come madre

di Clori Bombagli

maestra elementare

Sono Clori, insegno in una scuola a tempo pieno e sono una maestra. Ieri sera nella relazione introduttiva di Silvana, Cristina, Chiara e anche delle altre maestre ho sentito sinceramente una forte emozione. Avevo pensato ad un intervento prima di venire qui, ma l'ho messo da parte ed è proprio questo che mi piace di questi convegni: poter parlare insieme, interagire insieme prendendo tutte le sollecitazioni che dalle altre e dagli altri vengono. L'emozione forte che ho sentito dall'intervento delle mie colleghe delle elementari dipende dal fatto che c'è stato un coinvolgimento completo e un riconoscimento totale nelle loro parole. Mentre Chiara parlava di un bambino che le cingeva la vita io ho rivisto Hannin; il sorriso di Barbara e di Valeria, oppure Guglielmo che mi guarda con degli sguardi molto ma molto eloquenti e che devo interpretare di volta in volta. Il silenzio in effetti, grazie a loro si è rotto e devo dire che non avevo vissuto mai una rottura più felice essendo tra l'altro una dell'autoriforma resuscitata visto che per cause di forza maggiore ho avuto un anno di silenzio. E io sento fortemente il bisogno di ringraziare Silvana, ma anche le insegnanti dell'asilo nido e della scuola materna proprio per aver detto, aver messo in parola quello che gira nella scuola. Ed aver avuto modo di raccontare le cose che vivo anch'io, le mie colleghe, vivo con i miei alunni e le mie alunne. E proprio aver ridato valore e ricchezza a quel totale assorbimento del vedere, ascoltare, vivere insieme, amare e ricercare sempre di nuovo proprio per quella "fortunata ignoranza". Mi è piaciuta moltissimo questa espressione di Cristina tradotta poi in "dotta ignoranza" che spesso abbiamo sentito come limite; fino a ieri questo fatto ci ha limitato, non essere intellettuali, il non riuscire a teorizzare. Ecco, per noi insegnanti elementari è stato spesso un limite di cui ora ci siamo riappropriate, io me ne sto riappropriando e ancora una volta il convegno dell'autoriforma gentile è stato un'autorizzazione per me. Un'autorizzazione a definirmi maestra e non insegnante elementare e a riappropriarmi di questo mio sapere forte e profondo che è dovuto proprio alla mia esperienza. Ma ci sono state anche altre parole che mi hanno sollecitato, penso a Andrea Bagni e Letizia Bianchi. Le loro parole hanno suscitato in me un turbinio di immagini. Ho appuntato alcune cose e forse sarò un po' confusionaria ma proprio perché si sono alternate le immagini, i momenti della mia vita a scuola e della mia vita come madre (sono madre di due figlie, femmine, ci tengo a precisarlo) e dei momenti che io conosco attraverso gli sguardi e le espressioni di mia figlia, la piccola che frequenta il liceo. Sara frequenta la prima liceo, ha finito ora il ginnasio ed è una ragazzina curiosa, lucida, appassionata, confusionaria. Infatti è una pesante nella scuola che si trova a frequentare ora proprio perché è sempre tesa a questo sapere, a questo conoscere sempre un po' di più e non solo scolastico. Ecco, Andrea e Letizia hanno proprio dato forma alle emozioni che stavo vivendo io in quest'ultimo periodo in riferimento all'esperienza di mia figlia. Andrea diceva che in prima deve contenerli e poi in terza si spengono. Ecco, credo che Sara, mia figlia, sia arrivata a questa famosa terza, una terza ormai tutta calibrata verso l'esame di stato. Questo è un discorso che si apre per conto suo e io, madre di Sara, vedo che si sta spegnendo. Allora ecco le immagini che mi balenavano di fronte alle parole delle maestre e di Andrea ed in seguito di Letizia. Dunque, ho rivisto in queste immagini il mio lavoro come maestra, voglio proprio usarla questa parola, come maestra. E mi sono detta: "la bellezza degli spazi".
Letizia diceva giustamente che rimandano valore. Io, Adele, Sandra, Patrizia abbiamo comprato degli scaffali per la nostra aula con i soldi nostri e lì teniamo i vasi d'argilla che abbiamo costruito, i pani che abbiamo fatto con i semi di grano schiacciati con la pietra, i fossili che abbiamo raccolto sul monte di Cetona. Io e Patrizia, che è la mia collega in classe, abbiamo fatto di tutto per avere una libreria di casa proprio per mettere tutti i libri che scegliamo, raccogliamo, valutiamo. Ci siamo date da fare per avere dei murales e far sì che i bambini e le bambine pitturassero e lasciassero un segno nella scuola che hanno abitato per cinque anni. Dall'altra parte vedo Sara e Franca Gianoni mi ha dato l'immagine della vicenda di Sara: vetro e cemento. Tutte le scuole di Montepulciano sono state tolte dal centro storico, bellissimo, ricco, stimolante, per essere portate in questo famoso polo scolastico che tra l'altro non ha nemmeno la strada di accesso. Palazzi tutti uguali, pareti vuote, corridoi lunghi, deprimenti che a me come madre mi fanno sentire a disagio. Mia figlia ne è in qualche modo intimorita.
Seconda immagine: il linguaggio. Io ho sempre usato nella scuola elementare si usa il linguaggio che passa attraverso la corporeità: la voce, i silenzi diceva Lorenzoni. Se lo usiamo in una maniera non disciplinata, ma mischiamo, è tutto un linguaggio aperto, un linguaggio materno che, diceva Chiara Zamboni, crea relazioni vive, non le spacca. Sara non è, proprio per suo essere, nel linguaggio disciplinato, non sa starci e vedo che ora sta cercando degli espedienti per viverci, per vivere. Io a scuola cerco con tutta me stessa, ed ha ragione Cristina quando dice che il nostro lavoro ce lo portiamo addosso nella mente e nel tempo libero a casa, cerco continuamente forme esperibili, verificabili, visibili, concrete, autentiche direbbe Silvana, per avviare bambini e bambine a un sapere e ad amare ciò che conoscono trovando il senso di sé attraverso questo amore. Sara ha avuto per questi quattro giorni dieci fogli fotocopiati chissà da dove, perché il libro adottato dallo stesso professore (54.000 lire) non era all'altezza della sua "cultura"; forse li ha addirittura scritti lui. Sono stati consegnati così, senza neanche parlarne, e scritti con un linguaggio aulico, estremamente ricercato, specialistico che costringe però mia figlia, ad ogni parola, ad andare a cercare il significato sul vocabolario. Ecco allora io ho proprio sentito in quel momento, quando stavano parlando, questa distonia tra il mio essere maestra e il mio essere madre e l'esperienza che sta vivendo mia figlia. Io cerco in tutte le maniere di stare bene a scuola e credo anche Cristina dal momento che ieri ha detto: "Ero una bambina triste, ora riesco a ridere", insieme alle mie colleghe cerco di far star bene i miei alunni e le mie alunne e ovviamente voglio stare bene con le mie figlie.
Per quel che riguarda Sara invece, mi trovo a sperare in un'unica cosa, la frase non è mia ma la uso, è di Paola Leopardi, spero proprio che Sara possa uscire dal liceo "senza essersi fatta troppo male".

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