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I professori sono molto diversi
dalle professoresse

di Gian Piero Bernard

insegnante scuola superiore

Io volevo partire da un articolo di Marina Di Bartolomeo che trovate nel sito dell'autoriforma. Parto dai due racconti che fa Marina in questo articolo. Un racconto è su un corso d'aggiornamento che si fa nella sua scuola in cui la dirigente scolastica sceglie soggettivamente gli insegnanti che possono insegnare in questo corso d'aggiornamento, corso di formazione. Non ci sono regole certe per scegliere questi insegnanti; tutto è basato sulla soggettività della dirigente scolastica. Non sceglie, dice Marina, in base ad un criterio di capacità, ma in base ad un criterio di fiducia nei confronti di questo insegnante, perché essi sono in buona misura sudditi della dirigente scolastica. Vero, tutto vero, succede diecimila volte, a volte non sono i dirigenti scolastici, ma i dirigenti sindacali che fanno questo lavoro. Ne abbiamo esempi dappertutto. Sembra quasi venir fuori, ma sto facendo una forzatura poiché conosco Marina, che il problema è di aver regole certe e le regole certe non ci sono più perché c'è la riforma, l'autonomia delle scuole, il nuovo ruolo dei dirigenti, ecc. Il problema è che già prima, quando non c'era la riforma e tutte queste cose, le regole non funzionavano lo stesso. Siamo in una fase in cui le regole sono scoppiate; il tentativo della riforma, semmai potrebbe essere quello di mettere delle regole che scoppieranno anche loro, che sono scoppiate prima di esserci. Questo però a mio parere, a nostro parere, mi sembra di poter dire, dipende molto da noi. Secondo esempio di Marina: la scuola azienda che sta sul mercato, offre servizi, è legata a questi piani per l'offerta formativa. I genitori devono decidere a quale offerta aderire. Dice lei che succedono cose terribili, perché se uno studente decide di non fare quella cosa, cosa fa? Non la fa? Se ne va? Non si capisce. Ma non è questo il problema. Il problema è, dice giustamente lei, che la scuola diventa un'azienda, sta sul mercato, offre servizi che i clienti possono o meno comprare. Su questo riprendo una cosa che già diceva Katia ieri e che qualcuno ha ripreso stamattina; una cosa su cui ha scritto anche Marta Baiardi in un articolo che è sul sito dell'autoriforma e in un fascicoletto che vendono gli amici di Firenze e che deriva da Hannah Arendt.
Allora bisogna rivendicare con molta forza, ma soprattutto praticarlo già, farlo vedere nelle nostre scuole, che la scuola è uno spazio altro, con regole altre, che è un filtro rispetto al mondo. Non è appiattita sul mondo. Rivendicare questo ruolo alla scuola, secondo me, è simbolicamente significativo. Non solo. Ma è significativo per un altro aspetto: queste sembrano polemiche passatiste; sembra che chi dice questo nelle nostre scuole (perché a volte è vero) ami la scuola che abbiamo fatto noi come studenti e come studentesse. Invece no, non è affatto così, perché noi (allora io parlo proprio da maschio qua, vedete come sono fatto) teniamo conto del cambiamento che c'è stato dalla scuola che ho fatto io alla scuola di oggi: la femminilizzazione. Lo sappiamo a memoria tutti quanti, però bisogna ricordarselo ogni tanto. Se ci ricordiamo questo, ci ricordiamo di una cosa fondamentale, secondo me. Io registro semplicemente un fatto. La femminilizzazione non solo ha portato corpi diversi nella scuola, sia quelli delle insegnanti che delle studentesse, di tutte e due. (Nelle mie classi al liceo c'erano due ragazze, due. Io ho fatto il liceo da una parte e dall'altra e dall'altra. In una delle tre parti ce n'erano un po' di più, ma nelle altre due parti, nel nord di Ravenna e nel sud di Napoli ce n'erano due). La femminilizzazione si è portata dietro un'altra cosa fondamentale che è la comparsa nella scuola del desiderio. Io lo registro semplicemente, non lo voglio dimostrare, per me è evidente, per molti di noi credo sia evidente, lo è anche per i miei colleghi, come dire più "retrivi" da questo punto di vista. Mi sembra ci sia qualcosa qui. E, insieme al desiderio, si porta dietro un modo nuovo di dispiegarsi dell'autorità, che deriva dalla presenza delle donne, quindi dall'autorità femminile che agisce. Dico "i miei colleghi più retrivi", perché sono addirittura invidiosi di questa cosa; scatta il meccanismo dell'invidia (porca miseria però quella collega fa quelle cose là…). Insomma, è chiaro quello che voglio dire. Quando poi ci sono alcuni altri colleghi, tra cui io mi nomino, ma non sono il solo, che invece mostrano fiducia nell'autorità delle mie colleghe (io lavoro molto bene con un gruppo di colleghe), questi sono molto preoccupati, insomma, mi sembra di vedere una grossa preoccupazione e chiudo su questo.
I professori sono molto diversi invece dalle professoresse; c'è una totale mancanza di desiderio che vuol dire il ricorso continuo alle regole "se non state a quello che dico io vi porto dal preside, vi metto la nota" (le note le mettono gli insegnanti maschi, le insegnanti femmine non le mettono quasi mai). Nella mia scuola succede così: la normazione di tutto "come? Il tale o la tale fanno questa cosa? E perché? Dove è scritto? Chi lo ha deciso? Come mai?". Oppure addirittura arriva fino alla cosa assurda per cui bisogna essere obbligati, per fare qualche cosa. "È bene che ci sia una riforma normativa dura, perché così, finalmente, saremo costretti a lavorare", ciò è la follia ed io dico che questa follia deriva dal fatto che questi uomini non sentono il loro desiderio, non ce l'hanno, non hanno autorità nemmeno. E da cosa lo vedo? È invalso un permissivismo maschile terrificante: sono più permissivi in realtà (nonostante quello che ho detto prima delle note), i maschi delle donne. Le donne continuano, continuamente, a contrattare con gli studenti (parlo di studenti perché la mia scuola è completamente maschile). I maschi no, non contrattano, non sanno contrattare, perché per contrattare bisogna avere autorità, bisogna essersi conquistati la fiducia. Oppure sette in condotta a tutti, basta! Cosa facciamo qua? Fuori! A zappare! La scuola non è per tutti, via! Andarsene! Questo sono i maschi. Riprendo un momento il desiderio perché mi serve: la comparsa nella scuola, forse nella società in generale, del desiderio corrisponde ad un cambiamento di prospettiva. Almeno io lo sento così. Mi sembra che corrisponda a un cambiamento di prospettiva per cui il mondo non è un mondo oggettivato, di oggetti, ecc., ma soprattutto non è organizzato sui bisogni. Cosa voglio dire? È un pensiero un po' aleatorio per cui mi piacerebbe molto discuterlo: voglio dire che la comparsa del desiderio cambia che cosa si intende per politica, che cosa si intende per fare attività politica nei luoghi in cui siamo. Perché non organizzare mentalmente, nella nostra testa, il mondo sui bisogni, non darli per predeterminati, non pensare che siano determinati dalla struttura economica, politica, sociale, ecc. (intervento esterno femminile: "anche di sesso come fa la parità") e anche di sesso, cambia il modo di essere nel mondo e cambia il modo di fare politica. Faccio un esempio banale: significa non è più politica mostrare i muscoli e fare a chi è più forte, perché non c'entra niente chi è più forte, c'entra altro. Quindi questa questione cambia. Allora fare politica non diventa più mostrare i muscoli e fare a chi è più forte, non importa chi ha ragione o no. Far politica, io riesco a dirlo solo così, è far vivere ed esprimere i desideri e poi lì giocarsi, fare lì il gioco. Tutto bello? Ma nemmeno per sogno. Giannina l'ha detto, io non farò nemmeno esempi. Io mi chiedo spesso "ma i bambini che sono passati per le maestre di ieri, dove sono andati a finire? Perché a me non arrivano mai? Si perdono per strada?" È la vecchia discussione che è stata aperta qua, in quest'aula, tre anni fa credo. Mi sono andato a riprendere degli interventi di Pia Marcolivio, vi leggo il titolo: "Crescere è spegnersi", e di Andrea Bagni, "Il respiro della scuola", che comincia con una frase "Ma non sarà che a scuola un po' si peggiora?" È questa la questione. Ce lo vogliamo porre questo problema? È un problema serio. Allora anche qua non so che strada seguire e non ho nemmeno una strada mia, vi dirò sinceramente, non ho esempi da portare. Quest'anno poi sono particolarmente depresso perché ho su tre, due classi in cui succedono cose di questo genere. Allora io mi sono detto qualche anno fa: "i prossimi dieci anni saranno di sofferenza terribile". Perché? Perché la fine del patriarcato vuol dire questo per me nella scuola, nel mio lavoro. Vuol dire che le regole non funzionano più, che non ci sono più regole certe, che c'è un conflitto permanente tra me e gli studenti maschi. Io immagino,e i miei studenti lo dicono, che se ci fossero donne le cose cambierebbero un pochettino per loro. Cioè nel loro stare a scuola. Donne come studentesse intendo. Se avessero delle compagne nella classe cambierebbero le cose. L'hanno detto loro. Ad ogni modo le regole non funzioneranno, saranno anni di sofferenza, però io l'unica strada che vedo è quella di lavorare assieme ad un gruppo di colleghe della mia scuola, perché questo fatto di riconoscere la differenza femminile e la sua politica ha rappresentato un guadagno per me. Allora io devo continuare a riconoscerla giorno per giorno. Come dire: non è una cosa che io ho riconosciuto una volta, chiudo e vado avanti. Il problema è per me di riconoscerla quotidianamente, lavorando insieme perché questo vuol dire riconoscere quotidianamente alcune cose che in me si agitano e non avevano parola. E le mie colleghe danno parola a questo. E riconoscere alcune cose che io non riconoscevo proprio, non è che si agitavano, erano morte. Ridanno vita, lo dico senza piaggeria, rifanno l'opera materna giorno per giorno e se io permetto a loro di farla è un gioco a due. E questo per me vuol dire riconoscere. E allora per me politica, venendo dal desiderio, politica è avere una politica di scambio fecondo fra uomini e donne. L'autoriforma è questo per me. Non mi dà forza in classe. Devo dire molto sinceramente: molti e molte dicono questa cosa. Forse l'ho detta anch'io in passato. Oggi mi sembra poco. Diceva Andrea tempo fa: costruisce un territorio liberato in cui a partire da delle cose (il riconoscimento dell'essere uomini e donne, avere una differenza, ecc., ecc.) ci possiamo scambiare delle cose fra di noi. E scusate se è poco.

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