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3. Donne a scuola.

Occorre a questo punto porsi una domanda. Come è potuto accadere che umori e opinioni di dissenso pure diffuso abbiano avuto un'eco così scarsa, o siano stati rubricati come passatismo corporativo?
Come è potuto accadere?
Come in tutti i processi complessi, credo che note siano le ragioni ed intrecciate fra loro. Alcune assai remote. Vanno ricordate le "madri-maestre" (12), indagate acutamente da Simonetta Soldani, strette fin dall'ottocento postunitario fra decise spinte emancipatrici, indubbie realizzazioni di libertà femminile, ma anche affette da una cronica debolezza salariale e contrattuale e un altrettanto scarso peso sul terreno simbolico e su quello decisionale delle politiche.
Impegnate queste maestre, loro come noi oggi che ne siamo le eredi e che abbiamo compiuto una femminilizzazione poderosa della professione docente lungo tutto il novecento (malgrado Gentile e le sue ferree convinzioni che lo "spirito", come i suoi custodi, gli insegnanti di filosofia, dovessero essere per forza solo maschili), impegnate loro come noi, dicevo, in un'opera di tessitura di civiltà, di rapporti, di culture.
Tutte cose queste, che non si esauriscono in una mera maggioranza numerica femminile, né nella richiesta di una astratta quanto infelix (poco feconda) parità, ma connotano invece fortemente il luogo-scuola come sede di una lunga e significativa presenza di genere.
Oggi noi, eredi di quelle maestre ottocentesche, siamo portatrici di questa fierezza antica del nostro lavoro e di una debolezza insieme. Le nostre scuole si sono popolate di donne -vero cambiamento epocale- di insegnanti e studentesse, senza che l' "impronta maschile" che contrassegna il contesto-scuola "sia stata sottoposta sufficientemente ad analisi" (13) critica.
Così assieme alla gioia di insegnare di tante di noi e delle nostre colleghe, assieme alla passione verso le relazioni e verso i saperi, coesiste così la persistenza di una miseria salariale improponibile per altre categorie. Ci si chiede se anche qui valga la norma non scritta sulle paghe delle donne, enunciata dalla storica Rose-Marie Lagrave, in vigore nell'industria, in base a cui la "femminilizzazione di un impiego è fatale per il salario" (nel senso che esso è portato immediatamente a scendere verso il basso, n.d.r.), mentre la mascolinizzazione gli dà un sicuro plusvalore (14). Ma c'è di più.
Agiscono anche altri fattori nella partita che contrassegna la presenza di genere a scuola: una indubbia "impronta di qualità" (15) nell'impegno relazionale: autorevolezza, passione, disponibilità al dialogo con le generazioni dei giovani; una diffusa consapevolezza che queste buone pratiche rappresentano dei valori più generali, qualcosa di più di un semplice star bene nei luoghi che abitiamo. E nello stesso tempo il sentimento di una diffusa impotenza a contare al di là del vicino e del presente, vicino e presente che diventano importantissimi per i soggetti, ragazzi, ragazze e famiglie, quando si trovano a farci i conti - un buon insegnante può salvare la vita e forse anche uno cattivo perderla -, ma che non contano nulla nelle politiche scolastiche che di questo vicino e presente assai poco si curano. Specularmente molti e molte insegnanti tendono a disinteressarsi di ciò che arriva dall'alto, a percepirlo come noioso e fastidioso, in ogni caso lontano e irrilevante.
Fino a che qualcuno ha cominciato a capire che con la riforma, il "mosaico" Berlinguer-De Mauro, non si poteva più sfuggire nel vicino e nel presente, perché non c'erano più: il vicino e il presente avevano cambiato connotati.
Si vivono nelle nostre scuole gli amari capitoli di una storia di disvalore tenace, e non solo economico.
Innanzitutto questo senso del contare poco nelle politiche scolastiche generali, a fronte di uno strapotere di presidi e di ispettori, ingrandito dall'autonomia. Una scarsa incisività, al di fuori della vita quotidiana talvolta pur felice nelle classi, una enorme fatica nel dare senso alle occasioni istituzionali: commissioni, POF, momenti di aggiornamento.
E insieme altre cause e responsabilità (che ora non approfondisco, ma mi limito a nominare): politica di risparmio di tutti i governi che si sono succeduti negli anni '90, per cui le riforme sono a costo zero e, addirittura, ora con il Riordino si risparmia anche un anno di scuola; ambigue strategie sindacali; reclutamenti poco oculati di personale, spesso demagogici; mancanza atavica strutturale di veri incentivi all'imparare degli insegnanti: anni sabbatici, sconti sui libri, corsi qualificati universitari….
Ma non è su questi aspetti che mi soffermerò.
Dunque, insieme a questi aspetti del quadro, quasi a tesserle una vischiosa trama comune, si annida nella scuola una debolezza di pensiero, fatta di subalternità culturale, di appiattimenti a sistemi di pensiero altri, di piccole e grandi rese, di faticosi adattamenti a rappresentazioni e a linguaggi lontani ed estranei alle viventi pratiche quotidiane.
In un bel libro, radicale e intelligente, sull'agonia della scuola italiana, Massimo Bontempelli, un insegnante di filosofia di Pisa, nel tentare di "individuare le ragioni per cui il corpo insegnante non sta contrastando, e neppure comprendendo, la direzione di un mutamento che pure umilia la sua dignità professionale", dà la colpa alla presenza di un "insegnante che non è più un intellettuale, che non è più abituato a continuare a studiare la sua materia, e che non dispone di valori culturali globali criticamente fondati. Un tale insegnante non ha un'idea profonda e coerente di scuola alla luce della quale gli si renda visibile il processo di innovazione nel suo insieme. Egli cioè si confronta coi fatti innovativi volta per volta, man mano che gli si manifestano, recependone ciascuno nella sua singolarità, senza saper vedere il significato complessivo in cui si iscrivono. Succede così che l'insegnante può sentirsi infastidito dalla frequenza delle riunioni a cui è chiamato a partecipare, ma poi lasciarsi coinvolgere nelle loro discussioni, e prendere attivamente partito per qualcuna delle tesi contrapposte nelle più futili alternative gestionali ed organizzative. Egli non riesce a cogliere, in questi casi, la nullità dei contenuti che vengono discussi, e tanto meno il significato depauperante della sua professionalità che hanno tali adunanze del nulla, appunto perché non ha alcuna solida idea di scuola, né alcun orientamento interno ad impiegare in maniera culturalmente creativa il proprio tempo e le proprie energie."
Insomma per Bontempelli, (16).


NOTE

(12) Simonetta Soldani, Nascita della maestra elementare, in Simonetta Soldani e Gabriele Turi (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell'Italia contemporanea. I. La nascita dello stato nazionale (2 vol.), Bologna, Il Mulino, 1993, p.74.

(13) Antonietta Lelario, Vita Cosentino, Guido Armellini (a cura di), Buone notizie dalla scuola. Fatti e parole del movimento di autoriforma, Parma, Pratiche editrice, 1998, p. 11.

(14) Rose-Marie Lagrave, Un'emancipazione sotto tutela. Educazione e lavoro delle donne nel XX secolo, in Georges Duby-Michelle Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente. Il Novecento, Roma.-Bari, Laterza, 1992, pp. 508-509.

(15) Franca Gianoni, Maschile e femminile a scuola. Relazione tenuta a Bologna, 27 febbraio 2000, in occasione del IV incontro nazionale dell'autoriforma gentile, in La bravura di ogni giorno, (dattiloscritto inedito) p. 1.

(16) Massimo Bontempelli, L'agonia della scuola italiana, Pistoia, Editrice C. R. T., 2000, pp. 17-18.

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