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1. Un naufragio consapevole

Tra i naufragi narrati dal cinema, meno celebre del Titanic, ma non poco suggestiva, la vicenda del Poseidon (1). In questo film di avventura, forse uno dei precursori del genere "catastrofico", un transatlantico di lusso sta per naufragare. Ma appunto non è il Titanic, che inscena le differenti reazioni dei personaggi dinanzi a una catastrofe drammaticamente compresa nella sua genesi. Sul Poseidon, le cose vanno diversamente, perché il Poseidon -per quanto possa parere irrealistico agli esperti di navigazione, - non sta naufragando e basta. O meglio sta naufragando sotto l'urto di una enorme onda anomala, ma sta naufragando capovolto. Ed è qui il l'invenzione, il motore narrativo della storia. Ben sostenuto da una convincente scenografia, in cui tutto l'interno della nave -arredi, soffitti, pavimenti- è appunto suggestivamente rovesciato, il film narra l'odissea di dieci personaggi che cercano di salvarsi (qualcuno ce la farà), come è consueto per film di questo genere.
Ma quale è sul Poseidon la giusta strada per salvarsi, strada perfettamente visibile allo spettatore, ma non ai disgraziati protagonisti?
Contrariamente a quanto pensa la maggioranza degli incauti passeggeri non ci si salva salendo verso la plancia (parte superiore della nave), perché questa strada, nella innaturale posa capovolta che il Poseidon ha assunto in seguito all' onda anomala, porta in realtà verso gli abissi e verso la morte certa.
Sul Poseidon rovesciato, del tutto innaturalmente rispetto al senso comune, ci si salva "scendendo" (solo apparentemente) verso la stiva -ma in realtà è una "salita" verso la superficie del mare. Memorabile è la scena in cui impugnando la Bibbia un predicatore, seguito da una turba di suoi seguaci, "scende" a capofitto verso la morte certa, convinto di "salire", mentre noi spettatori li compiangiamo per la loro cieca credulità.
Per i pochi che hanno "capito" -e sono andati controcorrente "scendendo"- nell'ultima scena di questo film claustrofobico, oltre il portello estremo della stiva, si apre il cielo azzurro e l'elicottero dei soccorsi.
Mentre i passeggeri del Titanic "vedono" la loro salvezza a portata di tuffo, lì sulle scialuppe, per quelli del Poseidon non c'è evidenza di sapere. Non vedono e non capiscono -non chiedetemi perché-. Si devono fidare delle loro imperfette intuizioni e devono prendere delle decisioni sulla base di queste.
Sono partita da un film di catastrofe, perché rispetto alla scuola italiana travolta dal "mosaico" delle riforme, appartengo a coloro che non se ne sentono beneficiati e che marciando verso la stiva, pensano di cercare la salvezza contro il luogo comune che "innovazione è bello".
Purtroppo, qui nell'universo non di celluloide né hollywoodiano, non mi sarà così facile abbandonare la nave individualmente e prevedo invece, per chi la pensa come me, un collettivo naufragio se le cose non cambiassero. Ma rivendico con altri e altre (ce ne sono, anche se non sembra e non hanno molta voce) almeno la consapevolezza "cassandresca" -quindi forse inutile, ma irrinunciabile- di avere visto e annunciato la catastrofe, che non sta in questo o quel provvedimento singolo, nella legge per l'autonomia, piuttosto che in quella della parità, nel riordino dei cicli piuttosto che nel "concorsaccio". Sta nell'insieme.
Come nello sciagurato Poseidon, qui servirebbe una certa distanza dal senso comune "ministerialscolastico" di cui sono imbevute le nostre giornate, un'uscita dalle nostre abitudini di lavoro consolidate, uno sforzo di analisi per vedere bene la strada che si è così decisamente imboccata (e -purtroppo- già percorsa) con le riforme e per opporsi consapevolmente e cercare di farne mutare radicalmente la direzione.
Per questa ragione ringrazio gli organizzatori di questo convegno che si propone di fare i conti criticamente con la scuola riformata, cioè con la scuola come è già diventata dopo i provvedimenti che ci sono piovuti addosso a pioggia negli ultimi anni e che hanno cambiato davvero la fisionomia della scuola italiana -ed ancora non è a regime il riordino!!!- Ritengo inoltre che non siano più possibili "posizioni di nicchia" nella scuola italiana riformata. Chiudersi in classe e pensare responsabilmente al proprio lavoro è stata in passato una salvezza per molti e molte. Si poteva forse in passato soffrire di solitudine, il che non va bene di sicuro in un mestiere come il nostro, in cui invece c'è molto bisogno di continui confronti con adulti (persone vive e libri) per reggere il corpo a corpo con le giovani generazioni.
Si poteva in passato sentirsi soli, ma non irrilevanti, né destituiti di dignità, quando la propria proposta culturale e didattica attraverso le relazioni educative che si venivano creando nelle classi restituiva un senso al proprio lavoro. Tutti sappiamo bene che cosa è la buona scuola, quando è buona, anche per averla conosciuta da maestri e maestre che, se abbiamo avuto fortuna, abbiamo incontrato nel nostro iter scolastico (ne bastano pochi, non è affatto detto che siano tutti), maestri e maestre che hanno costituito dei modelli educativi per costruire "buona scuola": clima di operosa industriosità, scoperte culturali, quel comune imparare -non parlo di quello degli studenti soltanto, che sarebbe riduttivo-, costruzioni di sapere condiviso, pazienza, tempi lunghi. Tutte virtù quotidiane, non "eroiche", direbbe Todorov.
I cambiamenti portati dalle riforme non renderanno più possibili queste oasi di senso. Non rimpiango la scuola del sette in condotta, né la scuola classista gentiliana (che peraltro sopravviveva solo ai licei), ma constato che una grande occasione è andata perduta in questa riforma, definita in un recente convegno sull'argomento, una mera "modernizzazione" senza idee che celebra "ludi cartacei" (2) insensati, una scuola che va smarrendo senso e idealità, in una frantumazione progettistica senza spessore culturale.
Nello smantellamento della scuola italiana di questi ultimi anni chi non si adatta all'innovazione, a questa innovazione, è destinato ad essere residuale: sia a livello di collocazione professionale (carriera, tempo e soldi), sia rispetto alle proprie buone proposte culturali. Il senso del fare la "buona scuola", del provarci almeno, si erode profondamente a contatto con la didattica unica: mitica, asettica, priva di spirito critico, sciocca, talvolta comica, ma allettante per molti versi.
E così si va dal "successo formativo", ai debiti e crediti, dalla presunta intelligenza di test, prove integrate, all'offerta formativa, fino alle tre "c" della valutazione di regime: competenze, conoscenze e capacità e relativi corsi di formazione per comprenderne le vacue e inesistenti differenze.


NOTE

(1) L'avventura del Poseidon (The Poseidon Adventure, Usa, 1972, col. 117 ') di Ronald Neame. Con Gene Ackman, Ernest Borgnine, Shelley Winters.

(2) Ermanno Testa, Il ruolo degli insegnanti, intervento tenuto al Convegno nazionale "Una scuola per la cittadinanza. Confronto a sinistra"" Firenze, 24 e 25 febbraio 2001 (testo inedito).

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