(di Antonio Cavallo)
Il Pubblico Ministero, quando ha notizia di un reato, inizia le indagini preliminari per verificare se l’indagato sia realmente colpevole del fatto criminoso. Se, entro un termine prefissato, ritiene che non vi sia colpevolezza del sottoposto alle indagini, propone l’archiviazione del caso altrimenti chiede al giudice di emanare decreto di rinvio a giudizio. Con questo atto il giudice da inizio alla fase processuale e l’indagato diviene imputato, in virtù del fatto che contro di esso è ora formulata una accusa che dovrà essere provata nel processo penale.

Il nostro sistema penale è ispirato al principio accusatorio che prevede un processo governato dalle parti. Queste potranno addurre prove a favore e controprove e potranno anche confutare le prove addotte contro di esse. Il giudice assume la posizione di terzo ed il p.m. è considerato parte come l’imputato. Al principio accusatorio si contrappone quello inquisitorio che si basa, invece, sulla centralità del giudice che deve ricercare la verità ed applicare la pena più giusta e su un p.m. con maggiori poteri coercitivi di indagine. Al principio inquisitorio era ispirato il codice penale italiano del 1930 e quello attuale ne contiene ancora diverse tracce: basti solo guardare certi poteri del p.m. o la facoltà del giudice, in taluni casi, di acquisire egli direttamente le prove. I due principi sono l’emanazione delle tesi liberali e di quelle statualistiche e si basano, il primo, su una idea di giustizia relativa o, il secondo, assoluta.

Nell’ambito di un sistema "tendenzialmente accusatorio", il nostro codice ha previsto anche dei procedimenti speciali con i quali le parti, se lo richiedono, possono saltare alcune fasi del processo. Tali procedimenti si caratterizzano per la loro premialità: di norma comportano sconti di pena e agevolazioni pecuniarie. Tra questi il GIUDIZIO ABBREVIATO.

L’imputato può chiedere al giudice, prima che si passi al dibattimento, che la causa venga decisa allo stato degli atti, cioè utilizzando gli elementi che sono stati acquisiti sino alla formulazione della richiesta. Tale procedimento offre all’imputato un primo evidente vantaggio nell’evitare la fase dibattimentale che spesso può durare molto tempo ed evita di procedere all’acquisizione delle prove ulteriori che, come detto, possono essere raccolte solo nel dibattimento dove si realizza il contraddittorio tra le parti. E’ inoltre previsto, per favorire il ricorso a questo rito, che la pena eventualmente comminata sia ridotta di un terzo rispetto a quella che si sarebbe dovuta comminare in caso di processo ordinario pieno. L’ergastolo viene invece trasformato il detenzione trentennale. Rispetto alla richiesta dell’imputato, il giudice non ha particolari poteri: egli deve disporre il giudizio abbreviato ed emanare sentenza. Ciò perchè la legge 479/99 ha modificato la relativa normativa. Prima della riforma, infatti, il pubblico ministero doveva esprimere il proprio consenso senza il quale non si poteva procedere a giudizio abbreviato e ciò permetteva una forma di controllo diretta al ricorso di tale rito.

Ogni imputato può ricorrere a questo rito, indipendentemente dal reato che si presume abbia commesso. Quindi anche chi è imputato per associazione mafiosa potrà ottenere, alla fine, una riduzione di pena o anche evitare l’ergastolo. Contro questa possibilità si sono espressi diversi magistrati, ritenendo poco opportuno che inquisiti per reati di mafia possano ricorrere a tale procedimento.

Va qui fatta una premessa: la legge 479/99 ha eliminato il consenso del p.m. nel rispetto del sistema accusatorio che tende a mettere sullo stesso piano le parti e ad evitare che una abbia più poteri di un’altra. A favore di questo sistema è stato argomentato che non possono prevedersi limiti di richiedibilità in relazione al reato per cui si prosegue, poiché si realizzerebbe una sorta di condanna anticipata. Tale posizione è però poco convincente se si considera che l’imputato avrà comunque la possibilità di difendersi nel luogo deputato a ciò (il dibattimento). Va inoltre considerato che se egli sarà ritenuto innocente, avrà comunque sortito lo stesso effetto che avrebbe ottenuto il caso di giudizio abbreviato (con tempi più lunghi che potrebbero ben essere tollerati visto la gravità del reato che si doveva accertare) e se, invece, sarà condannato non potrà usufruire degli sconti di pena. Appare chiaro che si tratta di una scelta squisitamente politica: permettere o meno sconti di pena in caso di reati di associazione mafiosa?

Coerentemente con il sistema accusatorio si dovrebbe permettere ad ogni imputato di ricorrere al giudizio abbreviato ma, come già detto, il nostro sistema sposa in parte anche il sistema inquisitorio e si basa su un semplice e chiaro concetto: il giudice deve accertare la verità e comminare la pena idonea al reato commesso.

In chiusura basti ricordare che questo problema andrebbe risolto tenendo sempre presente che le eccezioni sono possibili e giuste in un sistema, ma lo snaturano completamente se soverchiano le regole generali.