L'ORGANO BARTOLOMEO FORMENTELLI DI SANTA GALLA

L'organo Bartolomeo Formentelli arriva a S. Galla nell'ottobre del 1985.

Il nuovo parroco, don Franco Amatori, che sostituiva l'anziano Don Vincenzo alla guida delle Parrocchia, decise di comperare un piccolo positivo che fosse di aiuto per la Liturgia e si rivolse al suo caro amico Gianfranco Di Chiara, che purtroppo ci ha lasciato, per avere un'indicazione sullo strumento e sul costruttore. Senza esitazione, Gianfranco indicò Bartolomeo Formentelli ed i due partirono alla volta di Pedemonte Veronese dove Bartolomeo Formentelli ha il suo laboratorio artigiano "per la costruzione di ogni sorta di strumenti da tasto".

Lì il primo colpo di fortuna: Giuseppe Scarpat, "universitatis parmensis professor", come si legge nella targa dedicatoria dello strumento, aveva deciso di vendere l'organo, peraltro ancora incompleto, che aveva nella sua Casa Editrice a Brescia, commissionato negli anni sessanta allo stesso Formentelli. Ed ecco la proposta dell'Organaro: Invece di un positivo, questo due tastiere, con possibilità di una terza, in progetto ma mai realizzata: senza dubbio "riempirebbe" la chiesa meglio del positivo, in più, se si volessero fare dei concerti, offrirebbe maggiori possibilità esecutive. La tentazione è forte, lo strumento imponente, e così, durante il viaggio di ritorno in treno, don Franco e Di Chiara discutono appassionatamente delle prospettive offerte da questo strumento: unico piccolo particolare di disturbo il prezzo che, per quanto estremamente basso, rappresenta una cifra non proprio insignificante per una Parrocchia.

Qui il secondo "segno". Un distinto signore milanese, seduto davanti a loro, stupito dal fervore con cui parlano del progetto, seduta stante stacca un cospicuo assegno come prima offerta per l'organo! Ogni residuo dubbio di don Franco (Di Chiara non ne aveva mai avuti) è fugato: se uno sconosciuto fa una cosa del genere, beh, "quest'organo s'ha da fare!". Nell'ottobre 1985 il primo concerto d'inaugurazione, tenuto da quello stesso "universitatis parmensis professor" che ora quasi si pente di aver venduto il suo gioiello e che, infatti, di lì a poco, si tufferà in un'altra av-ventura organanria.

Nel Luglio del 1987 un giovane pianista (Riccardo Poleggi) da poco diplomato, desideroso di suonare Bach anche e soprattutto all'organo, avendo provato a bussare a varie chiese ottenendo sempre dinieghi, si decise ad andare da don Franco per chiedergli di poter suonare qualche ora la settimana sullo strumento.

Incredibile: sì! "Come sì? Forse non mi sono spiegato… Vorrei poter suonare l'organo…" "Sì! Io penso che uno strumento del genere più viene suonato, meglio è…" E così, ancora incredulo, il giovane pianista cominciò ad esercitarsi, finché un giorno, mentre stava cercando di non suonare con il mignolo della sinistra ciò che andava al pedale, si sentì fare "TOC, TOC" sulla spalla e, voltatosi, vide un bel sorriso pacioso incorniciato di barba e due occhi vispi dietro due occhialetti ovali dorati: "Ciao, sono Francesco Saverio Colamarino, ho un concerto qui la settimana prossima… mi fai studiare?" I tre incontri che mi avrebbero cambiato la vita erano avvenuti: don Franco Amatori, Francesco Saverio Colamarino e l'organo Bartolomeo Formentelli di S. Galla. Divenni organista della chiesa, mi diplomai in organo con Colamarino e pian piano, non senza qualche rimpianto, lasciai il pianoforte. D'altronde "ubi major…".

Ma veniamo ora a presentare un minimo questo strumento. Si tratta di un organo interamente meccanico a tre tastiere: Positivo, Grand'Organo, Resonance o "Clavier de Bombarde": la terza tastiera, infatti, nel primitivo progetto destinata a fornire al pedale i registri necessari (il pedale a tutt'oggi ha solo due registri: Contrabassi 16', Trombone 12') è stata successivamente riprogettata per avere una maggiore autonomia e do-tata di una Bombarda 16': è la più "francese" dell'organo con la sua batteria di ance che permettono dei Grands Jeux settecenteschi davvero "divertenti"; il ripieno è di taglia larga per adattarlo al Pedale; l'unico registro un po' fuori stile, come si può vedere dalla disposizione fonica distribuita, è un flauto in XV di tradizione tedesca: si sono perse così due file di ripieno, ma si è guadagnato un 8' e 2' di grande effetto.

Tutto l'organo è stato costruito con canne di recupero, in gran parte ottocentesche, e ciò ha permesso di contenere notevolmente i costi; grazie alla perizia di Bartolomeo Formentelli, però, lo strumento non risulta disomogeneo: ogni canna è stata riintonata e riaccordata per dare il suo massimo e "fondersi" con le altre. La parte più ottocentesca dell'organo è costituita dal Grand'Organo, con somiere a ventilabrini italiano, che, con i suoi registri spezzati, offre notevoli possibilità coloristiche. Molto utile anche il flauto in XVII bassi (e Cornetto Soprani), in I tastiera, che permette l'esecuzione di brani con la "tierce en taille" con una sonorità molto vicina a quella settecentesca fran-cese.

L'arrivo di quest'organo a S. Galla non è certo passato inosservato sia per la mole e la posizione che andò ad occupare (dietro l'altare), sia per le numerose polemiche che suscitò tra i parrocchiani: non tutti compresero l'importanza di uno strumento del genere per la cultura nel quartiere e per la Liturgia nella Parrocchia. Aspre furono le critiche a Don Franco ed alle sue presunte "manie di grandezza" ed ancora oggi il fuoco non s'è spento completamente ma talora torna a "borbottare" sotto la cenere… Da quell'ottobre 1985 numerosi sono stati i concerti e le rassegne, non sempre numeroso il pubblico, quasi mai della Parrocchia, che li ha seguiti: la posizione della chiesa, al di fuori delle Mura Aureliane, e la mancanza di un apparato pubblicitario adeguato forse ci hanno un poco penalizzato, ma, col tempo, siamo riusciti ad ottenere un discreto numero di "affezionati" che ci segue nei nostri sforzi. I più grandi organisti si sono cimentati sulle tastiere di bosso: Michel Chapuis, Françis Chapelet (che ha inaugurato la III Tastiera), Scott Ross, Sergio Vartolo, Gustav Leonhardt, James Edward Goettsche, Wijnand van de Pol (che ha eseguito l'integrale di D. Buxtehude), Alessandro Licata sono solo alcuni dei grandi organisti e cembalisti che si sono succeduti negli anni su quest'organo apprezzandone sempre le notevoli capacità foniche.

La presenza di un simile strumento in Parrocchia ha stimolato anche la nascita di gruppi corali e strumentali: nel 1989 si è formata la Corale "Amica Lucis" (dall'antico appellativo di S. Galla) che ancora opera con suc-cesso cercando di far conoscere la musica sei- settecentesca nel quartiere, formata da giovani e meno giovani che si ritrovano due volte la settimana per studiare insieme, ma anche per divertirsi, insieme ai grandi compositori del passato. Dal 1994 al 1997 è esistita anche l'orchestra "Amica Lucis", che, però, non ha resistito all'usura del tempo… ed alla mancanza di fondi!

L'organo è sfruttato anche dal cosiddetto "Coro della Domenica" che anima la celebrazione delle 10,30, utilizzando anche flauti, chitarre, bonghi, legnetti, triangoli e tamburelli baschi, in una riuscita commistione di "sacro e profano"; nelle altre celebrazioni gli organisti della Parrocchia si alternano allo strumento. Sicuramente, dunque, un organo "vivo" che aiuta e stimola la vita della comunità cui appartiene.

Per la mia personale esperienza, devo ritenerlo un fatto non molto comune: troppe volte ho visto strumenti, anche notevoli, storici, abbandonati, in rovina, sommersi di polvere, nelle loro cantorie, mentre accanto all'altare troneggiava un modernissimo organo "liturgico", elettronico "dalla testa ai piedi", senza neanche una canna aggiunta, che rovinava l'estetica e le orecchie ed il gusto con i suoi suoni impacciati, goffi e senza armonia. È certo meglio spendere pochi soldi e male, piuttosto che dare di nuo-vo vita ad una tradizione centenaria e ritrovare le nostre radici negli stru-menti dei nostri avi! Beh, a S. Galla si è deciso di percorrere la strada opposta, di costruire, dove non c'era, un organo nuovo in una tradizione antica e di USARLO! E con fatica riprendere un discorso interrotto, riavvicinare e riconciliare la gente con il suo passato e farlo tornare a vivere.

Un organo meccanico, quindi, senza neanche un "chip" aggiunto; solo stagno, piombo, legno e la maestria di armonizzarli insieme e la voglia e la gioia di far sentire la sua voce maestosa nelle navate moderne di questa chiesa di periferia.

Riccardo Poleggi