Tesina Maturità Enigma Tempo
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La strada verso la relatività

Se Copernico ha ragione, e se la Terra ruota a grande velocità, come mai non ce ne accorgiamo? Una obiezione non da poco, che fu risolta da Galilei con il principio di relatività.
Nel libro Dialogo sui massimi sistemi (1630) affermò che le leggi che descrivono il moto dei corpi restano sempre le stesse, sia che il sistema di riferimento sia in quiete, sia che si muova di moto uniforme (cioè sempre alla stessa velocità). Se ne deduce che non è possibile, facendo un esperimento del genere, stabilire se ci si trova in un sistema fisso o in un sistema mobile: ha solo senso parlare di moto relativo tra i due sistemi. Questo serviva a Galileo per dimostrare che, anche se la Terra (come avviene in realtà) si muove, ciò non influenza l'esito degli esperimenti. Gli avversari di Galileo ribatterono: "Se la Terra realmente si muovesse, facendo cadere una pietra da una torre, la pietra non cadrebbe esattamente giù, perché nel frattempo la Terra sotto la pietra dovrebbe essersi spostata". Galilei rispose così: "Se all'interno di una barca in movimento facciamo cadere una pietra, questa cadrà sulla barca esattamente in verticale rispetto al punto da cui la facciamo cadere". Insomma, la legge del moto dei corpi resta la stessa indipendentemente dal fatto che il sistema cui ci si riferisce sia in quiete o in movimento. Quindi non è possibile stabilire se ci si trova in un sistema in quiete o in un sistema che si muove con moto uniforme. Un sistema del genere viene detto "inerziale". Galileo Galilei aveva capito che non si può parlare di velocità assoluta di un corpo, ma solo di velocità relativa al sistema di riferimento. Questa teoria ha una sola eccezione: la velocità della luce.

Nel 1907 il fisico Albert Michelson divenne il primo americano a vincere il premio Nobel, per l' "esattezza delle sue misurazioni"; in seguito Einstein gli rese omaggio così: "Attraverso il suo meraviglioso lavoro sperimentale, lei ha preparato la strada allo sviluppo della teoria della relatività...". Che aveva fatto di tanto speciale? A partire dal 1887 aveva dimostrato, insieme con il collega Edward Morley, che la velocità della luce non cambia mai, è costante, anche se il raggio parte da un sistema che si muove rispetto a un altro, e che era uguale a 3*108 m/s.

Le conseguenze non furono affatto banali, fino ad allora si pensava che le onde elettromagnetiche, e tra queste la luce, si propagassero nell'etere ad una velocità c=3*108 m/s.
Ammessa l'esistenza di un sistema di riferimento S in cui la luce viaggia a c, e ritenute valide le trasformazioni di Galileo, in un sistema di riferimento S' in moto rispetto a S con velocità v, la luce dovrebbe avere una velocità diversa da c (c'=c±v).
Prima di Einstein si era convinti, infatti, che qualsiasi fenomeno ondulatorio potesse propagarsi solo in presenza di un mezzo più o meno tangibile, e proprio per questo fu ipotizzata l'esistenza dell'etere; lo stesso Maxwell ne aveva accettato la validità.In un punto fondamentale, però, le leggi della meccanica di Newton differiscono da quelle dell'elettromagnetismo di Maxwell: mentre le prime sono invarianti per una trasformazione galileiana le seconde non lo sono.
Fu un fisico olandese, Lorenz, a scoprire che le leggi di Maxwell erano invarianti non per le trasformazioni di Galileo, ma per le seguenti trasformazioni:
La situazione era molto confusa, si trattava infatti di mettere in crisi la fisica classica. Fu Albert Einstein, nel 1905 a porre fine al problema publicando "La teoria della relatività ristretta". Egli chiarì due postulati:
    (1) Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi inerziali

    (2) La velocità della luce nel vuoto è c=3*108 m/s indipendentemente dal moto della sorgente e dell'osservatore.

Tutto dipende dal punto di vista di chi guarda, se una persona percepisce due eventi come contemporanei, un'altra persona che si trova a una certa distanza può percepirli come accaduti in tempi diversi. Se ci trovassimo all'interno di una nuvola quando schiocca un fulmine, percepiremmo il lampo e il tuono nello stesso momento, mentre, trovandoci a terra, percepiamo il lampo prima del tuono poiché la luce viaggia a velocità maggiore del suono. Per Einstein, il tempo può essere definito da una contemporaneità di due fatti in uno stesso posto. Per mettere invece in relazione due fatti che accadono in posti diversi, bisogna sincronizzare due orologi collocati in questi due luoghi. Poiché la luce viaggia a una velocità elevatissima ma comunque limitata, per controllare gli orologi occorre calcolare il tempo necessario alla luce per giungere dall'uno all'altro orologio. Così, per definire il tempo entra in gioco la distanza. E poiché la luce si propaga a velocità costante, due fatti che appaiono contemporanei a un osservatore non appaiono contemporanei a un altro osservatore in moto rispetto al primo.
Da una parte l'invariabilità della velocità della luce, dall'altra il ruolo della distanza: accade infatti che due eventi contemporanei, per un osservatore che si trovi in una determinata posizione, possono essere percepiti come accaduti in tempi differenti a un altro osservatore che si trovi in una posizione diversa. Ciò perché l'informazione viaggia con la luce e impiega perciò un certo tempo per giungere a destinazione.
Ecco allora l'esempio del treno.

Per un osservatore posto a terra le radiazioni luminose, viaggiando con la stessa velocità finita in entrambe le direzioni, colpiscono prima una parete dell'altra.

Per un osservatore posto sul treno invece i due eventi sono simultanei.



Con la rivoluzione culminata nella teoria della relatività ristretta, il tempo diventa un qualcosa di relativo dal momento che varia a seconda che l'osservatore stia fermo o si muova, e della velocità a cui si muove, in termini molto semplici si può dire: il tempo di una persona che corre rallenta, e rallenta tanto più marcatamente quanto più veloce essa corre. In realtà il fenomeno non è rilevabile nell'esperienza quotidiana; i progressi della tecnologia hanno comunque permesso di verificare questo rallentamento del tempo grazie a due superprecisi orologi atomici identici, posto l'uno a terra e l'altro a bordo di jet militari da oltre 3000 chilometri l'ora o di sonde spaziali. L'esperimento ha confermato l'ipotesi: l'orologio che aveva viaggiato era rimasto indietro rispetto all'altro.
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2002 Luca Colombo