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Vieni come sei
di
Loris Bee

È ovvio chiedersi perché una band nata sulle ceneri ancora fumanti dei patinati e posati anni ottanta, creatrice di un nuovo stile musicale, di un nuovo disilluso modo di pensare si ostinasse ad essere fedele a se stessa. Nonostante la fama, nonostante le tonnellate di album venduti, nonostante tutto, l’aspetto più ammirevole della creatura di Kurt Donald Cobain, i Nirvana, è la coerenza in tutti i loro intenti. È questa indifferenza nei confronti dello scintillante show business che ha dato quel qualcosa in più al dissenso espresso nei versi, nei rantoli, nel ritmo martellante di questa micidiale macchina musicale.

Il primo fondamentale punto di questa bella e triste storia ha luogo ad Aberdeen, nello stato di Washington, nel 1975. I genitori di Kurt divorziano, gettando addosso al bambino, do soli 8 anni, ombre mai colmate, che saranno motore inesauribile per la rabbia della sua musica. Passa l’esistenza rimbalzando fra una casa e l’altra, scoprendo il mondo musicale che assorbe sotto qualsiasi forma, dai Beatles a gruppi molto più spregiudicati come i Black Sabbath.

A 14 anni la passione diventa musica con la prima chitarra e con l’asilo che gli viene offerto dai Melvins, un’altra band locale che ne dirigerà il modo di pensare, non solo in musica.

Il suo primo gruppo sono gli Stiff Woodies (dove Cobain fa il batterista), con l’amico bassista Christ Novoselic, da poco trasferitosi dalla Croazia alla comunità boscaiola di Aberdeen.

È solo con Skid Row prima e i Nirvana poi che si prende ciò che gli spetta, chitarra, microfono e i primi spazzi di gloria. Il primo concerto a Seattle non è dei più entusiasmanti. A vederli non si accalcano più di cinque persone, tra cui fortunatamente ci sono due rappresentanti dell’etichetta indipendente SUB-POP. A questi fu dato in esame un demo che fece guadagnare alla band il primo contratto discografico, primo essenziale e ben augurante passo verso un futuro che nessuno, nella più rosea delle speranze, si sarebbe mai immaginato. Questo è il periodo dei primi abusi di stupefacenti, figli della curiosità più che del desiderio di autodistruzione, e dei primi insopportabili dolori di stomaco che finiranno per ossessionare Kurt fino alla fine.

Siamo nel 1987, esce il loro primo sudato singolo, “Love Buzz”, a cui poi farà seguito l’album “Bleach” nel 1989. Questo primo capitolo nella storia della band vedrà fra le proprie file il batterista Chad Channing, il già citato Novoselic e il secondo chitarrista Jason Everman, che effettivamente non appare nei crediti di registrazione, ma ha l’unico merito di versare la somma, 606 dollari e 17 centesimi, per l’affitto dello studio. Uscirà dal gruppo dopo pochi e ingloriosi concerti.

La bomba è però lanciata e i Nirvana cominciano a guadagnarsi un seguito ben nutrito, grazie agli incessanti concerti ad Olympia (dove viene regolarmente distrutta la strumentazione alla fine delle esibizioni), e alla spinta degli amici Sonic Youth, Mudhoney e Dinosaur Jr., gruppi cult nella scena underground. Le 35.000 copie dell’LP spariscono molto velocemente, il tour attraverso l’Europa vede orde di giovani entusiasti che accorrono ai concerti e si lamentano dell’irreperibilità del disco.

Bleach è un concentrato di rabbia melodica, che si snoda fra Black Sabbath, Kiss, Mudhoney e Soudgarden.

Nel 1990 è Channing ad essere allontanato a malincuore, causa l’insufficiente tasso tecnico e creativo. Subentra al suo posto il talentuoso ex batterista degli Scream, David Groul, che presto diventerà un tassello essenziale. I dolori allo stomaco avvicinano sempre più Kurt all’eroina e a pasticche di quant’altro. Questo periodo di allucinante creatività, il sudato e odiato contratto con un’etichetta Major quale è la Geffen (scelta sotto consiglio dei Sonic Youth), da’ alla luce sotto la produzione di Butch Vig, l’album che può essere considerato come la bomba atomica nella discografia officiale, “Nevermind”. Il lavoro ha un impatto così devastante nel mercato che fa tremare le fondamenta di tutti gli stereotipi comuni nello show business. In un solo gesto Kurt trancia come fossero erbacce malfamate dieci anni di capelli cotonati e musica sintetizzata quali erano gli anni ottanta.  In soli sei mesi vende tre milioni di copie, scalza addirittura Michael Jackson da primo posto in classifica e innalza Kurt a leader di quella che varrà denominata “generazione X”. A questo fanno seguito trionfali tour, stravaganti apparizioni televisive e l’incontro con la futura moglie, leader delle Hole, Courtney Love. Essa prenderà il posto dell’ormai dimenticata Tracy Marander, che era stata praticamente la sua balia per molti anni.

Il successo però ha un effetto che non poteva essere previsto. Ha il maligno merito di chiudere in se stessa, nella paranoia e nell’insoddisfazione perenne, una personalità fragilissima quale era quella di Kurt. Disperazione che sprofonda in una pesantissima tossicodipendenza, con l’effettiva scusante del voler affrontare i dolori di stomaco a cui nessuno ha saputo dare rimedio.

Il seguito è un album di inediti e B-side, “Incesticide”, prologo del seguito di Nevermind.

Nel 1992 un raggio di sole, però, arriva nella vita del leader dei Nirvana, la figlioletta Francis Bean Cobain. Paternità che finisce però per diventare un ulteriore peso, in quanto l’ipocrita opinione pubblica non accetta che un infante possa crescere sotto l’ala protettiva e amorevole di due genitori che si dividono tra la vita burrascosa della musica e gli stupefacenti. Fanno seguito articoli velenosi di testate scandalistiche e la privazione della figlia per mano dei tribunali scesi in causa. In questo deprimente periodo nasce “In Utero”, album diverso, introspettivo, malcelatamente triste, che finisce per dividere i fan. Al suo interno però cela perle di incredibile bellezza, come la celeberrima “Heart-shaped Box”.

Dal tour successivo si capisce però che la gioia nel suonare e nell’essere adorato (mai del tutto accettata) si è ormai spenta, e comincia quasi a diventare pesante nell’animo di Cobain. L’ultimo sfolgorante sprazzo di luce della band si ha nel concerto acustico “MTV unplugged”, che gela il cuore di tutti i fan per la maestosa, sconvolgente e morbida bellezza. Era però l’apilogo di un’incredibile avventura mantenuta sempre a cavallo di un’irreale coerenza di spirito nei confronti delle proprie origini.

Tutta la gioia, tutta la voglia di rompere gli schemi, tutta la voglia di rimanere se stessi finisce una mattina di aprile del 1994, nella serra di una piccola villetta, con la canna di un fucile in bocca e il dito sul grilletto.

Ma da qualche parte, chissà, ora c’è un biondino che come negli spensierati giorni della prima infanzia, senza alcuna malizia, se la sta ridendo di gusto…    

 

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