Multinazionali e
globalizzazione: pro e contro
di Daniela Ganz
-Le
dimensioni delle imprese multinazionali
Nel 1997
c'erano nel mondo 53 mila imprese multinazionali che controllavano 450
mila filiali all'estero. Le dimensioni dell'attività economica di
queste filiali estere sono impressionanti: 9500 miliardi di dollari di
fatturato, 2000 miliardi di valore aggiunto, pari al 7% del Prodotto
lordo mondiale; un terzo delle esportazioni mondiali è effettuato da
queste filiali. Gli investimenti diretti esteri in entrata sono stati
nel 1997 pari a 400 miliardi di dollari e crescono a un ritmo doppio di
quello del commercio mondiale.
Gli investimenti diretti esteri nascono per il 90% dai paesi sviluppati
e sono indirizzati per due terzi in questi stessi paesi. I flussi verso
i paesi più poveri sono però in aumento, dai 34 miliardi di dollari
del 1990 (il 17% del totale) ai 149 miliardi del 1997 (il 37% del
totale).
La
maggior parte di questi investimenti sono acquisizioni di imprese
esistenti, anziché creazione di nuove attività. Il 90% di queste
operazioni avviene nei paesi avanzati, con il consolidamento delle
attività nei settori in cui le imprese hanno dei vantaggi già forti;
strategie rese possibili dalla liberalizzazione
e dalla deregolamentazione (p.es. nelle telecomunicazioni). Uno
dei risultati è una maggior concentrazione industriale nelle mani di
poche imprese in ciascun settore, di solito imprese multinazionali"
.
I paesi in via di sviluppo (ma anche le regioni più arretrate nei paesi
come l'Italia) sono messi sempre più in competizione tra loro per
attrarre gli investimenti stranieri.
Le 100 più grandi imprese multinazionali del mondo nel 1996 avevano in
totale 11,8 milioni di dipendenti, più della metà nelle filiali
estere. L'occupazione totale è calata del 3,5% ma quella estera è
cresciuta del 2%. La crescita delle attività multinazionali rappresenta
così una crescente minaccia all'occupazione nei paesi di origine delle
imprese.
Le imprese hanno un forte peso sull'economia, realizzano buona parte
della ricerca e sviluppo, indirizzano il cambiamento tecnologico,
accelerano la finanziarizzazione dell'economia e sono in grado di
imporre ai governi - sia nei paesi di origine che in quelli di
destinazione - condizioni favorevoli per le loro attività.
-Nuovi
poteri e nuove regole
Le imprese multinazionali, i centri finanziari e gli organismi
sovranazionali prendono decisioni fondamentali per la vita economica e
il futuro dei cittadini di tutti i paesi, senza che esistano
legittimazione e forme di controllo democratico sul loro operato. La
capacità degli stati nazionali di controllare l'economia, le scelte
politiche e le condizioni di lavoro è stata progressivamente svuotata
dai processi di globalizzazione, guidati dalle attività delle imprese
multinazionali, e dalle scelte di liberalizzazione della finanza e dei
mercati.
E' difficile un recupero di controllo complessivo da parte dei governi
nazionali: questi processi presentano sfide che vanno affrontate con
soggetti e strumenti diversi, affiancati da un'originale capacità di
iniziativa dei governi nazionali.
A livello globale esiste un vuoto di istituzioni capaci di misurarsi con
i poteri economici che operano sempre più a scala del pianeta. Gli
organismi esistenti - Banca mondiale, Fondo monetario, Organizzazione
mondiale per il commercio, etc. - vanno profondamente riformati e
democratizzati, ed è inevitabile riportare alcuni dei problemi
dell'economia mondiale all'interno del quadro istituzionale offerto dal
sistema delle Nazioni Unite, l'unico che può offrire legittimità ad un
diverso e più stabile ordine economico globale.
A livello nazionale ci sarebbe un'occasione importante per il rilancio
di politiche economiche nazionali di questo tipo. Ma è anche il
contesto sovranazionale che va ridisegnato, a livello sia dell'Unione
europea che globale, in modo da rendere
possibile e più agevole per i governi nazionali, il
perseguimento di questi obiettivi. Naturalmente anche all'interno degli
stati va accresciuta la trasparenza e la democraticità delle scelte
economiche, riconoscendo il ruolo di sindacati e società civile.
A livello della società civile una nuova alleanza dev'essere costruita
tra le forze sindacali e il mondo delle associazioni e delle
organizzazioni non governative che in questi anni hanno affrontato i
problemi e gli effetti della globalizzazione, muovendosi con successo a
una scala globale e ottenendo risultati importanti sul terreno dei
diritti umani e sociali.
Sul terreno sindacale c'è la costruzione dei Comitati aziendali
europei, c'è stato il grande dibattito sui diritti del lavoro
internazionali, sulle clausole sociali e le iniziative contro il lavoro
minorile, che hanno avuto sviluppi interessanti anche sul fronte della
sensibilizzazione dei consumatori con campagne di boicottaggio e
richieste di introdurre una "social label" che garantisca
sulle condizioni di lavoro in cui i prodotti sono realizzati.
Sul terreno più generale dell'economia internazionale ci sono state le
campagne sull'Accordo multilaterale sugli investimenti, al debito
estero, dalla riforma della Banca mondiale, alla povertà e le
diseguaglianze Nord-Sud. Non c'è più vertice delle grandi istituzioni
economiche internazionali che non sia accompagnato da un controvertice
di centinaia di movimenti, associazioni e Ong di tutto il mondo;anche in
Italia si sono sviluppate diverse iniziative:a Napoli il "Cerchio
dei popoli"per i "sette
poveri" del pianeta ; a Perugia
con le Assemblee dei popoli delle Nazioni Unite, dedicate alla riforma e
democratizzazione dell'Onu e del sistema internazionale, ai problemi
dell'economia globale, ai nuovi soggetti del cambiamento e alla
costruzione di una società civile globale capace di intervenire più
incisivamente su questi problemi.
-La tutela
dei diritti internazionali del lavoro
I diritti
essenziali del lavoro vanno tutelati in quanto diritti umani. La
liberta' di associazione, organizzazione sindacale e contrattazione, i
divieti del lavoro minorile, forzato e discriminazione devono essere
rispettati. Salari minimi, orari, tutela della salute e sicurezza sul
lavoro, riposo settimanale, protezione sociale e formazione vanno
garantiti, anche attraverso la contrattazione sindacale, in base alle
condizioni economiche dei vari paesi. Questi principi devono diventare
un criterio nelle politiche internazionali dei governi e nell'azione
delle società civili.
-La fine
della piena libertà di movimento dei capitali
I benefici
promessi dalla fine dei controlli sui movimenti di capitali non si sono
materializzati. Anziché favorire la crescita, è aumentata l'instabilità
finanziaria e si sono diffusi i comportamenti predatori delle imprese
multinazionali. La circolazione dei capitali dev'essere funzionale allo
sviluppo delle economie reali, e non più il contrario. Il 95% degli
scambi di valute è a fini puramente speculativi, non per finanziare gli
scambi internazionali.
-Un nuovo
ruolo economico delle Nazioni Unite
La
Commissione per la governabilità globale ha proposto, nel rapporto Il
nostro villaggio globale, la creazione di un Consiglio di sicurezza
economico a cui Banca mondiale, Fondo monetario e Omc rendano conto. Il
punto di fondo che emerge in modo ricorrente su questi temi
però è la distribuzione dei poteri sull'economia globale. La
natura democratica della struttura delle Nazioni Unite è ancora vista
come una buona ragione per tener l'Onu lontano dall'economia. E' questo
un limite di fondo del modello liberale: Ora è il momento di superare
questo limite.
La situazione dell'Accordo Multilaterale sugli Investimenti
Negli ultimi anni è stato negoziato il progetto di un Accordo
Multilaterale sugli Investimenti (Ami) che proteggerebbe le imprese
multinazionali da qualunque politica dei governi nazionali.
Diventerebbero illegali molte delle politiche industriali e
tecnologiche, di domanda pubblica e di sostegno alle imprese nazionali e
di sviluppo locale fin qui realizzate. Le multinazionalii avrebbero la
possibilità di operare al di sopra delle leggi nazionali e potrebbero
addirittura portare i governi davanti a un Collegio arbitrale
internazionale per ottenere risarcimenti per tutte le opportunità di
profitto perdute per effetto di leggi e norme nazionali. I paesi
dovrebbero rinunciare a imporre nuove regole o cancellare quelle
esistenti in contrasto con i principi dell'Ami e rispettare questi
obblighi per 20 anni.
il negoziato è stato bloccato nel 98/99 dicembre scorso. Sono state
decisive le mobilitazioni delle organizzazioni non governative di tutto
il mondo, i pronunciamenti negativi del Parlamento europeo e il rifiuto
di partecipare al negoziato del governo francese, seguito da altre prese
di distanza dei paesi europei. E' stata una sconfitta importante per il
modello di globalizzazione neoliberista portato avanti dagli Stati Uniti
e dalle grandi imprese multinazionali.
La proposta di tassare gli scambi di valute
La crisi finanziaria del 1998 ha mostrato la fragilità di un sistema
finanziario internazionale cresciuto sulla base di una totale libertà
di movimento dei capitali, che si muovono da una moneta e da una borsa
all'altra, alla ricerca del massimo profitto
con una logica speculativa che ha ovunque danneggiato la crescita
e l’occupazione.
Il
premio Nobel americano propose una tassa sugli scambi di valute che
avrebbe l'effetto di ridurre drasticamente i margini per la
speculazione. L’ idea non è stata considerata né opportuna, perché
scoraggerebbe i flussi di capitali, né realizzabile, perché richiede
l'accordo di moltissimi paesi. Le organizzazioni non governative,
associazioni e sindacati propongono la tassa per scoraggiare la
speculazione sulle monete che aggrava l'instabilità economica, e per
trovare nuove forme di tassazione sovranazionale delle attività
finanziarie.