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Cinema: Minority Report
di
Moira Paoletti

Anno 2054. siamo in un mondo in cui la tecnologia consente di scoprire i delitti prima che essi siano commessi. Tom Cruise e John Anderton, ufficiale di polizia, impiegato presso il reparto “Prevenzione Crimini”, a sua volta accusato di un delitto che non avrebbe mai commesso. Visionario, realistico, inquietante, è il nuovo film di Spielberg, Minority Report.
Sicurezza significa libertà. È il programma “Precrime” –precrimine- che potrebbe salvere l’umanità del 2054.
È il miglior quadro che Holliwood  poteva produrre dell’America tra cinquant’anni. E infatti gli ingredienti ci sono tutti. Suspense, azione, thrilling, fantasia quanto basta, una fantascienza talmente elaborata da essere impercettibile quanto “reale”, la presenza dell’eroe e anche il risvolto “educativo”, inevitabile con Spielberg. Questo film ha tutte le carte in regola per sbancare i botteghini mondiali in 2 settimane in America ha incassato 73.5milioni di dollari).
La storia comincia, appunto, nel 2054, quando con un esperimento gli scienziati sono riusciti a far nascere bambini che sognano il futuro. In particolare, mentre dormono vedono i crimini che verranno compiuti e consentono così a una squadra di polizia, appositamente creata, di sventarli, anche all’ultimo minuto. Poco importa se lo studio ha dovuto sacrificare e sacrifica giovanissime vite umane. E poco importa quanto sia scientifico. Da sempre il potere cerca un capro espiatorio per salvare la propria esistenza e ristabilire la propria forza. Ma Cruise, che ancora una volta si conferma scelta di sicuro successo, alias John Anderton, capo dell’unità investigativa, scopre e dimostra che il genere umano può sempre scegliere. Anche quando il futuro è apparentemente segnato. Anche quando sembriamo destinati a compiere l’atto peggiore che può rovinare la nostra vita, possiamo cambiare rotta, redimerci. Persino quando qualsiasi mossa è controllata e la carta d’identità sono gli occhi, schedati al punto che quando Anderton entra in un grande magazzino una voce gli dice: “Ciao, John, sei un po’ dimagrito, vuoi comprare nuovi pantaloni?”. Il futuro di Spielberg ricorda ancora una volta che siamo schedati.
Diverso è il discorso invece per l’aspetto visivo, per cui il film risulta davvero di grande intrattenimento, gli effetti speciali sono curati al punto che persino gli “uomini volanti”, che inseguono l’eroe in rocambolesca fuga dotati di piccoli marchingegni, sono assolutamente affascinanti. Come lo sono le viscide microspie a forma di ragnetti metallici con la testa piatta e le zampette lunghe e flessibili che si insinuano in qualsiasi fessura per scoprire corpi umani non schedati o che sfuggono all’identificazione ottica. E alla fine, con il cattivo turno ci si libera del “vero” colpevole e il mondo viene redento. Questi sono gli americani, psicologia semplice ma efficace, si va dritti al punto. Ma grande studio e attenzione per un particolare di luce e ombra, anche solo per sottolineare un velo di malinconia. E la giovane sognatrice, una delle bambine nate per “salvare il mondo”, quando per poche ore vive una vita normale, ed è incapace di controllare le proprie più intense emozioni avverte un grande amore nella casa del nostro sfortunato e infelice eroe. E lo sente con il volto illuminato da un filo di luce che entra dalla finestra, un volto comunque contratto dal terrore. La Washington del futuro è affascinante, buia e sporca come in Blade Runner, affollata di gente da una parte incastrata in una vita quasi completamente tecnologica, dall’altra povera e rinchiusa in appartamenti-cella dove persino uno starnuto è tenuto sotto controllo. Ma è anche una città che può essere luminosa e piena di cielo come Harry Potter.

 

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