Libertà come
abbattimento delle barriere architettoniche Venerdì 15 novembre 2002, scuola
media Ricci, Belluno: si consuma l’intollerabile discriminazione nei
confronti di Paola (nome di fantasia). La “grande colpa”
dell’undicenne è l’essere in carrozzina. E’ questa la causa per
la quale ha visto tutti i suoi compagni lasciare l’aula e recarsi nel
laboratorio di inglese, al piano di sopra. Lei no, divisa dagli altri da
quelle scale, troppo strette per costruire un servo scala; troppe
responsabilità per essere portata a braccia. “E’ bastata un’ora –dice
affranto il padre- per distruggere anni di lavoro. Abbiamo sempre fatto
tutto con nostra figlia, dalle gite in montagna alla sport e proprio per
questo motivo la sua condizione non le è mai pesata. Ora però le cose
cambiano, e parecchio”. Di fronte ad un avvenimento di
questo tipo, che ci lascia senza parole, cogliamo l’occasione per
cercare di capire meglio il significato drammatico delle barriere
architettoniche che privano molti individui (donne con il passeggino
piuttosto che anziani o disabili…) di uno dei diritti fondamentali: la
Libertà. A parlarcene, il Vicepresidente dell’ANMIC (Associazione
Nazionale Mutilati e Invalidi Civili), Loris Paoletti. Una persona disabile è un
individuo come tutti gli altri: prova gli stessi sentimenti, ha la
stessa dignità, la stessa maturità (se non di più). Soprattutto, ha la stessa voglia
di libertà di tutti: essa consiste nel poter vivere autonomamente,
avere la possibilità di accedere a spazi privati e pubblici senza
difficoltà. Tale libertà viene meno proprio
di fronte alle barriere architettoniche: fare in modo che esse
scompaiano significa garantire i diritti di persone che nella vita hanno
avuto solo più sfortuna degli altri. Non si parla quindi di
“pietismo”, di “fare un piacere”, ma semplicemente di civiltà,
del riconoscere a tutti i propri diritti senza alcuna discriminazione. Purtroppo però la nostra cultura
è egoista, non è abbastanza impegnata nell’abbattimento delle
barriere architettoniche. Con questo non voglio dire che
fino ad ora non si è fatto nulla, bensì che ciò che è stato fatto è
ancora poco: confrontato con il resto d’Europa, il nostro Paese è
davvero molto arretrato. Alla base degli interventi in
questo senso ci sono delle scelte a livello di bilancio, compiute dagli
Enti secondo un ordine di priorità. Non voglio sindacare
sull’utilizzo dei soldi, so benissimo che dal punto di vista economico
c’è attualmente una situazione difficile, ma so anche quanto
irrisorio sia il costo, ad esempio, di uno scorrimano. Eppure nel
Municipio di Feltre non c’è. Sono convinto che, esistendo una
normativa in vigore da ormai trent’anni (Legge 30.03.1972, n.118
riguardo l’abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici
pubblici o aperti al pubblico, e l’accessibilità degli invalidi non
deambulanti ai mezzi pubblici di trasporto e ai luoghi pubblici), il
problema non sia tanto la mancanza di fondi, ma piuttosto una situazione
di comodo. In trent’anni, infatti, se il problema fosse stato preso
seriamente in considerazione, le barriere architettoniche sarebbero
state totalmente distrutte. Ciò significa che una programmazione in
questo senso non c’è mai stata. La legge-quadro sull’handicap
05.02.1992, n.104 prevede, in caso di violazione della citata legge 118,
un’implicazione di enti, tecnici e persone investite della diretta
responsabilità. Tale realtà è quindi, oltre che
inammissibile all’interno di una società civile, anche illegale. Alla base di questa situazione
c’è uno spiccato minimalismo nella nostra società, anche da parte
degli Enti: spesso si predilige la costruzione di un istituto scolastico
esteticamente bello, piuttosto di uno a norma di legge, che consenta
l’accesso a tutta l’utenza. Con “utenza” intendo non solo gli
studenti, ma i genitori, i docenti…tutte le persone che vi vorranno
accedere e potranno essere in grado di farlo. Il Negrelli e il Rizzarda sono un esempio di scuola accessibile: lo sono dagli scivoli, ai parcheggi, agli ascensori. Ma purtroppo sono un’eccezione fra gli edifici qui a Feltre: la conferma che c’è il reale bisogno di cambiare atteggiamento rispetto a questa situazione, che continua a penalizzare in maniera iniqua una categoria di cittadini fra i più deboli e indifesi.
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