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fra Dolcino

fra Dolcino, da un'incisione di fantasia di Giuseppe Gilardi (1846-1924)
Le vicende legate all'eresia di fra Dolcino e della setta degli Apostolici, o Gazzari, ebbero inizio sul finire del XIII secolo, interessarono il Novarese e in particolare la Valsesia, lasciando ampie tracce nella letteratura e nella storia.
Lo stesso Dante Alighieri, nel Canto XXVIII dell'Inferno, fa pronunciare da Maometto un incitamento alla difesa dell'eresia dolciniana:

" - Or di' a Fra Dolcin, dunque, che s'armi,
" Tu che forse vedrai il sole in breve
" (S'ello non vuol qui tosto seguitarmi)
" Sì di vivanda, che stretta di neve
" Non rechi la vittoria al Noarese,
" Ch'altrimenti acquistar non saria lieve. -"

Nella seconda metà del XIII secolo fece scalpore in Italia il movimento eretico degli Apostolici, il cui principale propugnatore era Gherardo Segarelli da Parma, finito poi sul rogo come perturbatore ed anarchico. In realtà gli Apostolici vagheggiavano la restaurazione di una Chiesa primitiva, della quale cercavano di imitare la rigida osservanza dei precetti evangelici e l'assoluta povertà, asserendo di essere gli unici rappresentanti della vera Chiesa di Cristo. Nel 1286 la bolla d'interdizione di papa Onorio IV condannò le loro dottrine, e nel 1290 il nuovo papa Niccolò IV diede inizio alle persecuzioni vere e proprie, che portarono nel luglio del 1300 anche all'esecuzione, appunto, del Segarelli

Ne raccolse l'eredità tale Dolcino Tornielli che, partito anch'egli da Parma e giunto nel 1301 nel Trentino, continuò l'opera di proselitismo del Segarelli, fondando una setta della quale divenne in breve capo indiscusso. Messo al bando dal tribunale dell'Inquisizione e dal Vescovo di Trento, che intendevano porre termine alla diffusione dell'eresia, Dolcino giunse infine in Valsesia (che, si dice, fosse anche la sua terra d'origine) dove in un primo tempo trovò ospitalità e protezione presso i Conti di Biandrate. Tuttavia, le sue continue e violente critiche nei confronti della Chiesa spinsero presto i vescovi di Vercelli e di Novara ad organizzare una crociata contro di lui. Tutto ciò s'inquadrava comunque nelle ormai tradizionali lotte fra i vescovi e i feudatari locali, con periodici cambiamenti di alleanze e frequenti scontri fra le opposte fazioni.

Braccati ovunque e trasformatisi ormai in una specie di guerriglieri, Dolcino e i suoi si ritirarono presto sui monti, dai quali scendevano a valle soltanto per razziare il necessario per vivere. La storia riferisce che circa 4000 persone trascorsero ben due inverni sulla Parete Calva fra stenti indescrivibili e frequenti incursioni ai danni degli abitanti delle sottostanti località di Rassa, Dughera di Piode e Quare di Campertogno.


La Parete Calva in edizione invernale, vista dalla strada per Meggiana


Per porre termine a tutto ciò, il 24 agosto 1305, numerosi rappresentanti delle genti delle tre principali valli valsesiane, riuniti nella chiesa parrocchiale di Scopa, giurarono sui Vangeli di scendere in armi contro i Gazzari fino al loro totale sterminio. Ci furono un paio di scontri cruenti fra i due schieramenti senza giungere tuttavia a una definitiva soluzione del problema, sino a quando, all'alba del 10 marzo 1307, Dolcino e i suoi decisero - più per la fame che non per timorte degli avversari - di abbandonare la Parete Calva. Scesero quindi a Quare, risalirono sino all'Alpe Meggiana e da lì ridiscesero il versante opposto sino a giungere in vista del monte Rubello, in Val Sessera.

Su quella nuova cima i Gazzari eressero delle vere e proprie fortificazioni e si prepararono per l'ultima disperata difesa. Dopo altre inconcludenti scaramucce fra gli eretici e i valligiani armati, l'Arcivescovo di Vercelli organizzò una seconda crociata, assoldando questa volta vere e proprie truppe di professione, e il 23 marzo 1307 cominciò l'ultima e definitiva battaglia. La cima del Rubello fu infine espugnata dagli assalitori e la maggior parte dei Gazzari passati subito per le armi. Dolcino, la sua compagna Margherita Boninsegna e pochi altri fedelissimi dell'eresiarca furono condotti in catene a Vercelli, processati e messi al rogo senza tanti complimenti il primo giugno (o luglio) 1307.

Con il trascorrere dei secoli la vicenda di fra Dolcino è entrata anch'essa a far parte delle leggende popolari, con la bella Margherita che cavalca nelle notti di luna fra i dirupi della Parete Calva, e con le processioni dei morti che durante i temporali notturni salmodiano i versetti del Miserere
(cfr.: P.Eugenio Manni, "I campanili della Valsesia", fasc. VI, ed. 1977, pag. 166).

Sulla vicenda dolciniana esiste una copiosa bibliografia, che non ha mancato di interessare anche alcuni Autori del nostro tempo. Qualcuno di loro ha voluto attribuire a Dolcino la promozione di una forma di "comunismo della povertà evangelica", ma... su questo tema si rimanda ad una più approfondita lettura dei testi disponibili.


Il testo e le immagini che compaiono sopra sono stati estratti dal sito web. http://spazioinwind.libero.it/valsesia, di G.C. Marchesi.


La cattura di fra Dolcino in un affresco di autore anonimo (foto Martinero,
da: E. Sogno, "La croce e il rogo", Mursia, Milano, 1974)
Supplizio di fra Dolcino e Margherita (da: "Le tradizioni italiane"
di Angelo Brofferio - 1849)