pubblicato su école - ottobre 2000

PEDAGOGIA DELLA DIFFERENZA
di Vita Cosentino

I due sessi, maschile e femminile, sono fra loro incommensurabili. Di conseguenza l'essere donna si definisce per se stesso o non si definisce, e continua a essere derivato dal maschile.
Alla metà degli anni '80 il pensiero della differenza è entrato nelle scuole come un turbine a scombinare tutti gli assetti consolidati: agli occhi prima di poche e poi di molte insegnanti era tramontato il paradigma della complementarità e si aprivano contraddizioni e questioni non da poco. Ricordo una classe milanese che con la sua insegnante Gabriella Lazzerini, nell'allora nuova edizione del dizionario Gabrielli, aveva trovato alla voce donna la definizione femmina dell'uomo e ne aveva fatto una questione politica scrivendo ai giornali una lettera che aveva suscitato clamore, risposte, dibattito. Oppure ricordo che ci si accorgeva d'un tratto che il diffusissimo e stimatissimo testo del Guglielmino per l'insegnamento della letteratura del 900 non conteneva neppure una scrittrice, e quindi non valeva poi tanto per noi e il nostro sesso. Si vedeva anche con stupore e irritazione che la normale dinamica della classe ruotava attorno a uno o più leader negativi maschi e relegava le ragazze nel ruolo di spettatrici, e noi insegnanti invece avevamo qualcosa di speciale da dire alle nostre simili più giovani. Paola Mammani, del gruppo insegnanti di Milano, dirà al primo convegno "Era lì il fatto che un gruppo è composto di maschi e di femmine e lo si vedeva attraverso la fantasia dell'uguaglianza. Si guarda ora che un gruppo è composto di maschi e di femmine e lo si vede per ciò che è: un'irriducibile differenza".

Rivoluzionamento di prospettiva

Quei primi anni di presa di coscienza femminile a scuola sono stati allegri e trasgressivi e hanno prodotto la Pedagogia della differenza, che è un movimento originale nato in Italia, paese in cui la lotta alle discriminazioni sessiste degli anni Settanta, che è stata molto forte nelle scuole soprattutto anglosassoni, non ha avuto seguito.
La scommessa era che la differenza sessuale, vista come tratto costitutivo e arricchente della nostra umanità, potesse e dovesse diventare significativa anche nell'educare. Alla base un rivoluzionamento di prospettiva: la differenza sessuale invece di essere guardata come causa di svantaggio per i soggetti femminili, veniva vista come base e ragione per la loro valorizzazione. Sia per noi che per le studentesse essere donna non è uno svantaggio, bensì una fonte di valore.
Fino ad allora era stato prevalente il modello emancipatorio, raggiungere l¹uguaglianza con gli uomini: chiedeva e chiede di pensare che il meglio per le donne è quello che considerano il meglio per sé gli uomini, e fa quindi degli uomini l¹unica misura del valore. Ma proprio in quegli anni, come ho potuto constatare discutendo con le corsiste nei primi seminari di aggiornamento in contesti solo femminili, letteralmente inventati da Marirì Martinengo, la raggiunta emancipazione ne stava facendo vedere i limiti e c¹era da parte di parecchie donne un distacco crescente e una ricerca di altri modi che tenessero in rapporto l¹indipendenza personale con la valorizzazione del sesso femminile.
Questa ricerca e la risposta di libertà femminile che ne scaturì si percepiscono bene nella prefazione di Educare nella differenza - il primo testo collettivo del movimento - in cui Anna Maria Piussi, la curatrice, scrive: «Nella raggiunta uguaglianza di diritti, quelle che hanno iniziato una nuova scommessa educativa misuravano lo scarto tra l¹essere ammesse come cittadine uguali in un mondo regolato da un patto sociale tra uomini che ci ha escluse come soggetti, e il gesto sovrano di portare in questo mondo un senso libero della nostra differenza».

Pratica politica.

La Pedagogia della differenza è tuttora parte della mia vita ed è lo sguardo che ancora oggi io ho sulla scuola, per cui la mia è una ricostruzione parziale, fatta di ricordi personali e riflessioni che non pretendono di esaurire il discorso; rimando la lettrice o il lettore, se ne ha l'interesse, all¹ampia bibliografia pubblicata in altra parte di questo numero.
E' cominciata nei luoghi delle donne e si è sviluppata in uno stretto intreccio con il movimento delle donne di quegli anni e i suoi centri di elaborazione teorica. Ricordo che io ne discutevo alla Libreria delle donne di Milano o a cena alla fine di qualche altra riunione femminista e questo capitava in molte città: gruppi di insegnanti, ma anche prof universitarie, si trovavano presso librerie, centri di documentazione, università, sedi delle donne a ragionare di scuola a partire dalla loro esperienza femminile. Ci trovavamo in convegni, in libri collettivi, fu un fiorire di ricerche in ogni campo: sulla lingua, sulla storia, sulla scienza... ma la Pedagogia della differenza è stata ed è soprattutto una pratica politica.
Quello che negli anni '70 aveva funzionato nella messa in discussione del rapporto privato con l'altro sesso, ora si immetteva nel sociale, nel luogo di lavoro. Nel privato il movimento delle donne aveva elaborato un agire politico -i gruppi di autocoscienza e le relazioni fra donne- che non voleva volontaristicamente cambiare l¹uomo, ma cambiare se stesse nel rapporto con l¹uomo, uscendo da quella subordinazione sociale e da quel senso di inferiorità che collaboravano a mantenere l¹ordine simbolico patriarcale.
Ora anche nel lavoro si voleva partire da quello che si era, stare in ascolto delle proprie emozioni, su quelle ragionare con l'idea non volontaristica che se non posso cambiare la realtà posso cambiare il mio rapporto con essa. Nelle scuole sono state portate queste pratiche in prima persona, legate al movimento stesso di riprendersi la propria soggettività nel pensare e nell'entrare in relazione con altre insegnanti.

L¹acquisizione di competenza simbolica

A mio modo di vedere la leva è stata l'acquisizione di competenza simbolica: uscire da quello stato di rivalità interminabile, di invidia, di gelosie tra donne, così ben descritto da Irigaray, per l'impossibilità di elaborare simbolicamente il rapporto con la madre nell'ordine simbolico patriarcale; riuscire a praticare rapporti significativi con altre donne, a praticare la disparità fra donne. Se la bravura di un'altra insegnante mi suscita invidia, invece di agirla inconsapevolmente cercando di distruggere il suo lavoro, ne prendo coscienza e trasformo l'invidia in ammirazione, in una possibilità anche per me di ottenere quelle qualità che l'altra manifesta.
Soprattutto volevamo stabilire un rapporto privilegiato con le più giovani, le nostre naturali eredi. E' stata un'operazione simbolica che ha fatto scandalo: la preferenza per le studentesse. La preferenza per le proprie simili significa mostrare che nascere donna è una fortuna e solo l'insegnante donna può trasmettere alle più giovani questo senso di sé valorizzato. Una pratica di quegli anni che tuttora io attuo nelle mie classi consiste nei gruppi di parola divisi per sesso: per un¹ora alla settimana, per un certo numero di volte si creano dei contesti solo femminili e solo maschili che permettono simbolicamente di elaborare l¹appartenenza al proprio sesso.

Autorità femminile nella scuola

A riguardarla oggi possiamo dire che il prodursi della pedagogia della differenza è stato un processo di costruzione di soggettività libera e di autorità femminile nella scuola: cominciare a parlare e agire con voce propria invece di essere ripetitrici di una cultura maschile fintamente neutra. E' stata anche nei fatti un'obiezione irriducibile a un'idea di scuola che puntava e punta sempre più a un modello tecnocratico e rende seriali e intercambiabili gli esseri umani: al posto di quell'insegnante o studente ci può essere qualsiasi insegnante, qualsiasi studente, ciò che conta sono le procedure, gli schemi, i test, i progetti. Il gesto di esserci con un senso libero del proprio essere donna ha cambiato il rapporto tra chi insegna e chi impara, perché se ti poni con la tua soggettività, la riconosci inevitabilmente anche in chi ti sta di fronte: in primis le ragazze che sono del tuo stesso sesso, e i ragazzi che sono altro rispetto a te.
Per me e per molte insegnanti questo gesto ha reso impraticabile l¹insegnamento come trasmissione unilaterale di conoscenze e lo ha trasformato in un rapporto tra soggetti: l¹altro, l¹altra è sconosciuto(a) e imprevedibile, ci si può avvicinare solo entrando in relazione.
Sono passati 15 anni dagli inizi della presa di coscienza delle insegnanti, sono state prodotte ricerche in tutti i campi del sapere ed è stato fatto molto lavoro di teoria e di pratiche. C'è un punto di vista femminile sull'educazione e sul mondo.
La grande presenza attuale di donne e di ragazze a scuola non è pura presenza materiale. Pone una questione di fondo che introduco con le parole di Luisa Muraro in Buone notizie dalla scuola, testo collettivo dell¹Autoriforma gentile, un movimento a cui partecipano donne e uomini che hanno a cuore la differenza: "Nel '68 si è lottato nella scuola per salvare, tener vivo e liberare il desiderio di imparare, mentre oggi lottiamo per ridare vita all'antico desiderio di insegnare. Il taglio di questo progetto sta nel riconoscimento dell¹esistenza di autorità femminile. Possiamo chiamarla pedagogia della differenza per intendere comunque che l¹antico desiderio di insegnare rinasce in quanto è desiderio di donne e di uomini che non sorvolano sulla differenza di essere donna/uomo.". La scommessa di oggi è che tutto il patrimonio di elaborazione femminile valga, perché la scuola perda l'impronta misogina della sua origine e perché cominci a contare ciò che veramente conta.

Vita Cosentino