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Esco da questo convegno un po' più allegra

di Wanda Tommasi

docente universitaria

Io volevo raccogliere l'invito che aveva fatto Luisa Muraro, quando diceva "cosa vedo nella realtà e dove vedo nella realtà che cambia qualcosa che mi fa gioco", o come ha detto con più forza ancora forse Franca Gianoni, è un po' diverso, ma l'ho sentito simile,"le novità di invenzioni che ci vogliono oggi per stare all'altezza del conflitto".
Ora io devo dire, parto da me, pensando a me, della realtà che sta cambiando non vedo molto che faccia gioco. Le cose positive che vedo e su cui faccio leva anche nel mio stare all'università, sono sostanzialmente due. Da un lato l'interlocuzione con chi mi ascolta o qualche volta mi legge che mi dà un senso di restituzione e dà anche senso alla mia ricerca. Una signora mi diceva prima che anni fa le avevo segnalato Etty Hillesum e mi dice "l'abbiamo letta e poi abbiamo fatto un gruppo", questo dà senso al mio tradurre settecento pagine della traduzione inglese dell'edizione integrale della Hillesum e all'incaponirmi su quella parola tradotta così invece di quell'altro traduttore. Devo dire che questo poi senso ce l'avrebbe di per sé, anche forse senza queste relazioni, perché è stato detto anche qui, c'è una specie di eros in una ricerca che, non sempre, ma qualche volta, è proprio un piacere di per sé.
E altra cosa che mi dà forza è il rapporto con le studentesse e gli studenti soprattutto nel lavoro di tesi, ne avevo parlato già ieri, e ricordo a questo proposito che appunto il laboratorio tesi, che ha nominato anche Chiara Zamboni, che c'è all'università di Verona, e che coinvolge appunto Chiara, Luisa e me, è l'unica cosa, l'ultima rimasta in piedi dell'autoriforma dell'università.
E queste due cose che ho nominato sarebbero, come avrete notato, la ricerca e la didattica, cioè tutto quello che è il mio stare all'università, e questo potrei riassumerlo anche in un'altra parola, con il nome di Diotima che è la comunità di cui faccio parte. Diotima ha questo, cioè il senso della ricerca fatta con il senso dell'interlocuzione ampia, ma senza essere volgarizzazione o svilimento, e la relazione con donne più giovani, tutte e due le cose ci sono.
Diotima mi dà il senso di come l'università dovrebbe essere. Diana Sartori qualche giorno fa, in un incontro che abbiamo avuto a Verona, diceva Diotima è l'università come dovrebbe essere l'università, cosa che io sottoscrivo pienamente e condivido.
Mi sembra un altro modo questo di dire rispetto alla mia realtà, alla mia università, anche a Verona, le cose che si stanno dicendo in questo convegno, un altro modo di dire la stessa cosa. Però mancano per me dei passaggi, questo non mi basta, perché il capovolgimento che qui si propone e sicuramente è rivoluzionario, è anche però difficile, dobbiamo stare attente. Io lo sento dentro di me, devo stare attenta a far sì che questo non sia una cosa di grande entusiasmo, una cosa che poi non corrisponde a cose che faccio e agisco, insomma vedere se davvero mi funziona nel mio comportamento, nel mio fare. Io dico, rispetto all'università, solo due cose, mancano un po', io sento una mancanza di parole, per me, e di scambio con altri su come ci si muove rispetto a delle università, a delle realtà accademiche, forse è giusto dire, più che universitarie, mi riferisco anche ai concorsi universitari, perché per me la discrepanza che c'è tra l'ordine dell'autorità, delle competenze, del valore di persone, soprattutto donne, che io stimo, e la gerarchia universitaria accademica fa disordine simbolico, mi fa disordine simbolico, mi fa soffrire anche, devo dire, un po', non tantissimo se sto riparata in qualcosa in cui tengo, però un pochino sì. Un'altra cosa sulla riforma, è stato detto prima, qui faccio fatica a vedere, parlo della riforma dell'università, le occasioni che vedeva Paola Bono, sono più vicina al giudizio che ne dava Chiara Zamboni, vedo ben poco che mi fa gioco, forse quel che mi fa gioco nella riforma dell'università è l'idea delle aree di sapere, quindi una certa libertà di movimento e di passaggio tra le discipline, cosa di cui si è parlato anche qui. Questo sì, potrebbe fare gioco, ma poi quelle altre cose: quantificare le "ore uomo", diceva Chiara, che ci vogliono per studiare Simone Weil, certo non mi funziona e temo addirittura che magari una qualche commissione, non so, pari opportunità, pensi alle "ore donna", non vorrei mai insomma. E poi si avanza anche contemporaneamente una prospettiva totalmente individualistica e una mentalità competitiva con questi crediti da accumulare, questo non mi fa gioco per niente.
Quindi volevo ringraziare questo convegno, io esco da questo convegno un po' più allegra e devo dire con un po' più di forza rispetto all'umore nero che mi prende qualche volta quando mi aggiro per i corridoi dell'università dove incontro dei colleghi che forse non vorrei incontrare. Ma devo dire che quando mi ritroverò tra i miei colleghi, e uso il maschile non a caso, credo mi sentirò un po' a disagio, un bel po' a disagio, e forse mi sentirò tagliata fuori come una figurina.

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