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La storia di Diana

di Silvia Testa

educatrice asilo-nido di Palermo

Vengo anch'io da Palermo e sono un'educatrice di asilo nido. Prima di raccontare un'esperienza che abbiamo vissuto, vorrei sottolineare che, per noi, la programmazione è uno strumento che ci permette di analizzare il nostro lavoro soffermandoci a riflettere sugli spazi, sui tempi, sui materiali e su tutto quello che può servirci, ma è sempre vissuta con un forte coinvolgimento di base.
Mi sorge spontaneo associare a questo nostro modo di programmare una frase di Primo Levi, che a me piace tantissimo: "Il termine libertà ha notoriamente molti sensi ma forse il tipo di libertà più accessibile, più gratificante, più utile al consorzio umano, coincide nell'essere competente nel proprio lavoro e quindi nel provocare piacere e a coglierlo. Credo proprio che per essere contenti bisogna per forza avere qualche cosa da fare, ma che non sia troppo facile, oppure qualche cosa da desiderare, ma non un desiderio così, per aria, qualcosa cui uno possa aspirare ad arrivare".
Un esempio efficace è il progetto dell'anno scorso, un'esperienza vissuta con la mamma non udente della piccola Diana, che parla con la sua bambina attraverso un linguaggio prima d'allora a noi sconosciuto, il linguaggio dei segni.
Poiché anche i nonni ed il padre sono non udenti, Diana comunicava con la lingua dei segni, non si esprimeva verbalmente. Cominciando a venire al nido, Diana è venuta a contatto con bambini e bambine che invece comunicavano verbalmente e con adulti che utilizzavano i pochi simboli imparati grazie alla collaborazione della mamma.
Anche dopo il suo inserimento, le parole di Diana sono sempre state precedute dal simbolo che le rappresenta e, a volte, erano espresse solo simbolicamente, il lunedì, in particolare, dopo il fine settimana trascorso in famiglia. Ma, presto, Diana è riuscita a comunicare con gli educatori ed i bambini e le bambine utilizzando contemporaneamente i gesti del linguaggio a lei familiare e le parole, ha acquisito naturalmente la capacità di attivare un duplice meccanismo comunicativo; insomma, è riuscita a differenziare due tipi di comunicazione a seconda della situazione in cui si trova.
Diana ha, dunque, raggiunto una capacità dialettica con i compagni della sezione ma ha delle difficoltà: quando legge o quando gioca, il suo uso del linguaggio non corrisponde perfettamente con la conoscenza che la piccola ha del linguaggio non verbale.
Questa situazione ha permesso a tutto il collettivo di preoccuparsi, di far proprio questo problema, che non è della bambina, ma nostro: come comunicare con lei al meglio. Ci siamo riuniti, e insieme alla mamma di Diana abbiamo fatto un progetto: la nostra intenzione forte è stata quella di inserire nel nostro quotidiano l'uso del linguaggio dei segni ed arrivare allo scambio comunicativo di un linguaggio, non più per pochi, ma per tutti, facendo sì che anche i segni precostituiti diventassero di facile comprensione, permettendo la comunicazione attraverso il linguaggio comune.
Il nostro obiettivo è stato quello di creare un equilibrio relazionale tra nido e famiglia, tra situazioni completamente diverse, l'intento quello di privilegiare una nuova gestualità, la capacità di esprimersi, oltre che con le parole, anche con il corpo, con nuovi codici comunicativi, e tutto questo ha trovato il suo naturale sviluppo nella drammatizzazione.
È stato bellissimo perché la mamma di Diana è venuta al nido e ha iniziato ad aiutarci, assegnando ad ognuno e ognuna di noi un segno, un nome simbolico.
Abbiamo acquisito questo patrimonio e, successivamente l'abbiamo trasmesso ai bambini e alle bambine, che non hanno più avuto difficoltà di nessun tipo nella comunicazione con Diana.

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