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Toccare il cuore delle cose

di Antonietta Lelario

insegnante scuola superiore

Anche io volevo riprendere il discorso di ieri per sottolineare la grossa differenza che c'è tra i nidi, la scuola elementare e la scuola superiore. Avevo in mente due episodi che mostrano questa differenza. Il primo riguarda una mia terza: io sono entrata all'inizio dell'anno scolastico e i banchi erano tutti ammucchiati sul fondo dell'aula e c'era un mare di distanza tra i banchi e la cattedra.
Se lo spazio vuol dire qualche cosa, quello spazio era terrificante e diceva della volontà dei ragazzi e delle ragazze di tenersi ben lontani dall'insegnante che loro individuano evidentemente come un nemico o una nemica. Questa cosa è accaduta due anni fa in una terza che poi è diventata una quinta eccezionale; si è diplomata l'anno scorso lasciandomi un vuoto. Il secondo episodio riguarda un colloquio recentissimo con un genitore che ha detto: "No, mio figlio non interviene in classe, non interagisce perché questo lo legge come lecchinaggio, gli dà fastidio questo servilismo". Quindi io li prendo in terza, molto spesso in questa posizione di conflitto aperto con gli insegnanti che individuano come detentori di un potere estraneo, nemico, da cui si devono difendere. Allora, tutto il lavoro dei tre anni, con discipline disciplinate, indisciplinate, mettendole in mezzo, lasciandole da parte, è conquistare un poco di fiducia, fargli sperimentare che questa possibilità che ho io, questo potere che sta nelle mie mani può essere utilizzato come aiuto, per andare loro incontro, per creare una situazione di scambio relazionale. L'ordine simbolico in cui loro sono cresciuti è stato introiettato e ha prodotto dei guasti. Anche la crescita concepita come allontanamento dagli adulti contribuisce a creare un clima più di sfiducia che di abbandono, più di paura che di gioia.
Pur con queste enormi differenze con le elementari e i nidi, io dico che anche nelle superiori la posta in gioco rimane quella: la capacità di avvicinarci a loro che io direi con le parole di Simone Weil: "riuscire a toccare dentro di loro qualcosa che è sacro e far uscire da dentro di me qualcosa che è sacro". Io me ne accorgo quando in classe riesco a fare questa operazione, a fargli sentire o a toccare questo elemento di sacralità. E, come insegnano le studiose di mistica, questo ha a che fare con l'erotismo. Quindi capisco il riferimento di Andrea Bagni alla sensualità del pensiero.
Quando si tocca questo elemento di sacralità, si lavora sul fatto che, rimanendo profondamente noi stessi, mostriamo paure desideri, debolezze, sentimenti che ci trascendono.
Anche qui mi aiuto con Simone Weil che tra il potere e il singolo vede un livello intermedio nel quale c'è qualcosa che noi sentiamo che è profondamente in gioco, che ci riguarda insieme. "Toccare il livello dell'impersonale", dice lei, che è ciò che noi tentiamo di fare qui quando ci raccontiamo queste esperienze nella loro singolarità, ma anche tentando di toccare questo elemento di impersonalità che ci permette di sentire che è in gioco qualcosa di più, che non sono le nostre singole vite, le elementari, le superiori, il sindacato o le operaie; ma che c'è questo elemento, modificandosi il quale si modifica del mondo qualcosa di molto più grosso. Come riuscire a dirvi questa cosa che io sento così profondamente? Un esempio è, spero che lo abbiate visto tutti, molti di voi sicuramente, il film "Amistad". È un colossal di Spielberg che racconta di una nave che serviva, nella seconda metà del '700, alla tratta dei neri che si sono ribellati uccidendo gli schiavisti bianchi. Sono stati arrestati, imprigionati, processati e tutto era contro di loro: le condizioni economiche perché nel '700 lo schiavismo nero era ancora necessario all'economia degli Stati Uniti; la cultura sembrava contro di loro, perché il nero era visto ancora come un animale. E tuttavia gli schiavi hanno vinto il processo; loro non conoscevano la lingua nella quale avveniva il processo. Il film mette in luce anche questa cosa: vincono il processo e dopo alcuni anni c'è la legge contro la tratta dei neri. La legge segue una trasformazione che è evidentemente avvenuta nel simbolico e questa trasformazione, in alcuni momenti, tu non sai neanche che c'è. La vicenda, che è storicamente avvenuta, ha messo in luce che c'era una trasformazione in atto. Sono convinta che quando noi facciamo queste operazioni con le quali riusciamo a toccare il cuore delle cose e riusciamo a far rivivere quel bisogno di bene, di bellezza che è dentro di noi e dentro gli altri, in realtà stiamo facendo delle operazioni importantissime i cui effetti non possiamo prevedere prima. Qui ci vuole molta autorità, molta di quella consapevolezza che non chiede continuamente conferme e che permette a ciascuna di camminare per la sua strada convinta. D'altra parte mettere in circolo una lingua capace di parlare di esperienze nel modo in cui ne parliamo nell'autoriforma, capace di leggerle esprimendo questi desideri e questi bisogni mi pare già la miglior cosa che possiamo fare per contrastare le riforme. Se la critica alle riforme, fondamentalmente, è quella di essere ancora subalterne all' "homo economicus", il fatto di far vivere le esperienze vive nelle loro differenze, nella loro forza vitale, nella loro capacità di toccare il cuore, mi pare la miglior risposta alle riforme e non solo alle riforme. Come diceva Maria Grazia, questa è un'operazione che non si può fare, e non è un caso forse che non si faccia, in organismi quali il sindacato e gli stessi Cobas, nei quali militano persone alle quali sono molto vicina per storia passata e per simpatia anche presente. Questi non sono più luoghi in cui tu puoi rispondere a questa fame simbolica che invece è la grande fame del nostro tempo. La caduta dell'URSS è stata un'incapacità di rispondere alla fame simbolica e la grande crisi della sinistra deriva dalla sua incapacità di rispondere alla fame simbolica che c'è. Quindi io mi sento in un cammino che raccoglie il bisogno di giustizia e di trasformazione che le sinistre hanno rappresentato. Sapranno rappresentarlo ancora? Non lo so. Ma certo ora quel cammino chiede nuovi luoghi, nuove parole, nuove esperienze.

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