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Indicare le stelle con il dito

di Nicoletta Lanciano

docente universitaria

Io sono laureata in matematica e insegno all'Università di Roma matematica e astronomia. Insegno agli studenti dei corsi di laurea delle discipline scientifiche e agli insegnanti. Da 20 anni collaboro con il movimento di cooperazione educativa. Le prime tre maestre di ieri raccontavano dell'andare l'una a vedere l'altra, a guardarsi mentre si lavora, andarsi trovare in classe per cui le loro riflessioni nascevano da questo incontro. Anche gli interventi delle insegnanti di Palermo parlavano di andare a vedere e non sentirsi raccontare soltanto. Questo stile mi rimanda ad uno stile molto caro che si potrebbe chiamare lo stile con cui imparano gli artisti e gli artigiani, andare a bottega, andare a vedere fianco a fianco imparando dai maestri, riconoscendo che qualcuno già sa fare e che andiamo ad imparare in un modo empatico. Molto spesso questo passa attraverso la condivisione degli strumenti, la condivisione di quei segreti che uno, mentre fa, ti svela quando sei in condizione di ricevere dei segreti. Questo riguarda ciascuno di noi, quando abbiamo imparato le cose che più ci stanno a cuore. Le abbiamo imparate lentamente avendo delle intuizioni da incontri importanti della nostra vita. Questo ha a che fare con quello che è stato detto ieri e cioè "Che nella mia classe i bambini si copiano". Il bambino guardando l'altro, standogli vicino, collaborando impara le cose fondamentali: il mangiare, l'usare la forchetta, ecc. Tutti abbiamo imparato guardando gli altri, nessuno ci ha insegnato la capriola. Questo modo dell'imparare e dell'insegnare stando corpo a corpo penso che sia preziosissimo, fondamentale per tutti. C'è un antico poema astronomico del sesto secolo avanti Cristo in cui si dice: "E mi insegnava stando dappresso indicandomi le stelle con il dito". Quello è l'unico metodo, quello di stare dappresso e indicarti con un gesto col quale si insegna. In questo momento c'è una grande sfida nella relazione tra la scuola e l'Università, c'è questa nuova formazione degli insegnanti. Io mi trovo a lavorare non con insegnanti del corso di laurea di formazione primaria, quello che prepara gli insegnanti della scuola dell'infanzia e della scuola elementare, ma nella scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario che è quella degli attuali insegnanti di scuola media superiore. In questa scuola ci sono delle novità preziosissime; la prima novità è che si sta tantissimo tempo al laboratorio didattico e al tirocinio. Con la parola tirocinio si dice esattamente che non è possibile essere scaraventati ad insegnare senza aver mai visto nessuno fare questo. Noi l'abbiamo visto da studenti ma non è la stessa cosa. Si tratta di andare con la libertà del non dover fare niente tranne che osservare, guardare un altro come fa. Io ho avuto la fortuna di laurearmi con una tesi di tipo sperimentale con Emma Castelnuovo stando tre anni nei banchi della sua classe. Sono stata nella condizione del tirocinante che guarda, osserva e poi piano piano prende anche delle responsabilità, fa delle sue proposte senza chiedere, questo è il racconto di molti insegnanti che ricevono i tirocinanti nelle loro classi, quanto è bello per un insegnante delle superiori uscire da quel tremendo isolamento che li vede fare le loro cose, anche belle, con la porta chiusa, non condividendole con nessuno. Poter condividere con il tirocinante un progetto, un tratto del loro percorso, una mattinata di emozioni è una cosa interessante anche per l'insegnante.
Questo percorso di due anni di scuola di specializzazione permette l'attività di stare nelle classi. Penso che può essere una cosa interessante per tutti gli insegnanti, anche delle Università proporsi come accoglienti di questi tirocinanti perché è interessante vedere classi dove gli insegnanti possono trasmettere qualcosa di interessante a futuri insegnanti.
Nel tirocinio chi si prepara ad essere insegnante della scuola media vorrà anche curiosare un po' nelle scuole elementari e nelle scuole superiori; sarebbe bene che andasse anche nelle materne e nei nidi. Questa proposta la stiamo facendo, in alcuni casi la stiamo anche ottenendo. Si parla tanto di continuità, la continuità è proprio andare a vedere per davvero. L'insegnante delle superiori che sta sempre nella stessa classe, anonima, squallida, non immagina assolutamente come possa essere una classe di scuola elementare dove ci sono tutti i bambini specchiati sulle pareti con i loro lavori, cosa possa essere l'ambiente di una scuola per l'infanzia dove ci sono tutti gli angoli e tutti i materiali. Non se lo immagina neanche non è una cosa di cui hanno conoscenza. Questa osmosi è una cosa su cui qualcuno sta cercando di fare una proposta. Al di là di quello che potrà accadere fra dieci giorni, è una sfida in cui possiamo inventare a tutto campo. Nel Lazio ci stiamo provando, io mi sto molto dando da fare. Io quando insegno amo molto raccontare i miti, anche quando insegno matematica, anche agli studenti universitari. Penso che questo sia un modo di prendere misura delle emozioni, dell'emotività delle persone. Molto spesso gli insegnanti mi dicono che questa cosa è una cosa molto buona per i bambini, sicuramente piacerà ai bambini; in realtà quando io racconto, tutti gli adulti stanno là a bocca aperta ed è molto difficile per loro riconoscere che è un piacere anche per gli adulti, che non è una cosa divertente solo per i bambini.
Un'altra novità importante è il laboratorio didattico: finalmente si assume che effettivamente per chi insegna fisica non è importante soltanto aver utilizzato un piano inclinato, quindi aver fatto esperienze del laboratorio di fisica, ma anche interrogarsi su che cosa succede quando si insegnano quelle cose. Perché ci sono tante difficoltà, ci sono difficoltà di linguaggio, del nostro modo di parlare, dei nostri schemi, dei nostri modelli. Il laboratorio didattico è importante perché in queste scuole non siamo soltanto noi docenti universitari gli insegnanti ma ci sono tanti insegnanti che fanno da ponte tra la scuola e l'Università. Molto spesso in questi laboratori i docenti sono degli insegnanti, persone che della pratica e delle difficoltà e dei modi dell'insegnamento hanno un'esperienza molto diretta. Questa altra possibilità per gli insegnanti di avere un periodo di collaborazione, di semiesonero dalla scuola, di creare questo ponte, di essere nel luogo di questo ponte tra la scuola e l'Università è un'altra delle situazioni interessanti in questo momento. Una cosa assolutamente nuova è che per la prima volta gli insegnanti delle scuole medie e superiori, che conoscevano solo le loro discipline, incontrano la psicopedagogia, hanno una grande quantità di incontri con insegnanti di psicologia, pedagogia, antropologia. Il fatto che esiste la psicologia dello sviluppo ma dopo continua ad esserci anche una psicologia di quelli più grandi è una cosa che sta prendendo piede per la prima volta nel nostro paese e, anzi, non è neanche facile per gli psicologi parlare di questo. Io spero che tutto questo possa avere una grande ricaduta nei fatti. Un'osservazione di ieri mi ha molto colpito: nelle scuole dove le aule sono completamente sguarnite, un ragazzo non sa proprio dove poggiare gli occhi, si annoia, guarda in faccia l'insegnante e sta proprio in uno squallore totale. Tutto questo, nell'età dell'adolescenza, un'età in cui le istanze di questi ragazzi sono così cariche di tutte le loro passioni e stare per tante ore in un luogo completamente anonimo è sicuramente una violenza. All'Università uno dei regali più grossi che ci ha lasciato la Pantera è stata quella di attrezzare qualche aula, di creare delle stanze da the. Alla Sapienza, che è una Università fascista, non c'è un luogo dove sedersi, il professore ha la sua sedia ma se io ricevo qualcuno non so dove metterlo. Abbiamo ottenuto delle stanze cosiddette del the perché sono delle stanze con qualche poltroncina in più dove incrociare qualcuno. Questa storia degli spazi è molto importante, io vorrei ricordare che non ci sono solo gli spazi interni, ci sono anche quelli esterni che danno un grande respiro. A volte gli spazi interni sono quelli che sono, angusti, eccetera, ma ci sono tante occasioni per la scuola di stare fuori e sono le occasioni degli eventi, delle visite, delle gite. Questa cosa è molto curata con i più piccoli, mentre per quelli grandi no, molto spesso per punizione i grandi non vengono mai portati in gita perché sono molto turbolenti. È proprio un modo di rimarcare i cattivi, ma il vero guaio è che non permettiamo loro di provarsi, ognuno di noi è un pochino diverso in un posto piuttosto che in un altro, si comporta in modo diverso. Non gli si dà mai la possibilità di provarsi in un luogo diverso dove si possono rompere quei comportamenti stabilizzati nella classe e di trovarsi in una situazione diversa dove possono tirar fuori qualcosa che sanno fare, rivelarsi in un modo diverso, mostrarsi agli altri in un modo e in un comportamento diverso. Il fatto di star sempre nello stesso luogo con la stessa organizzazione anche spaziale è assolutamente senza criterio, una cosa assolutamente pessima. Quando io faccio astronomia è giocoforza che usciamo fuori, che andiamo a cercare il sole o cercare il buio. Diciamo che lì è vero che è la disciplina stessa che lo chiede, ma c'è qualcosa di fondamentale dal punto di vista pedagogico, quello di rompere le abitudini che sembrano delle necessità che però sono degli stereotipi culturali e contingenti.
Un'ultima cosa, c'è un intervento che io conosco a partire da quello che insegno, in particolare dall'astronomia, che riguarda i genitori. Spesso insegno in classi che invitano anche i genitori a partecipare a qualche loro attività, per esempio, le osservazioni notturne. Quindi o per accompagnare i figli di notte, oppure perché l'esperienza è particolarmente accattivante anche per i genitori, si crea un'opportunità di coinvolgimento e di incontro con gli insegnanti.

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