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Il modello degli alunni è Berlusconi?

di Daniela Dioguardi

insegnante scuola superiore

Io sono stata molto contenta, lo hanno già detto altre, di questo incontro perché, da tempo, insisto sul ruolo e il valore della scuola elementare e delle maestre. A parte il problema dell'insegnare in modo diverso, della consapevolezza, di una costruzione simbolica nella nostra pratica pedagogica, c'è la questione di come è organizzata la scuola e il fatto che la scuola è organizzata in maniera gerarchica, piramidale per cui si parte dalla scuola più aderente all'esperienza della vita, all'esperienza del vivere, come la chiamava la Muraro, che secondo la tradizione è ciò che è meno importante e poi si va all'Università che invece è il punto più alto della piramide. Io ritengo che questa è una costruzione infondata, che non sta in piedi, non solo per il valore, il ruolo, per quello che fanno le maestre, ma per questa capacità che hanno, e che io non ho, questa capacità in più di relazionarsi con chi è diverso. Nel senso che i bambini e le bambine per me rappresentano un mondo diverso, lontano e devo dire che io ho difficoltà, l'ho sempre avuta. Quindi invidio quel di più di cui sicuramente dobbiamo tenere conto. Ma c'è un altro fatto che io come insegnante e come madre ho sperimentato. Quello che non si apprende alla scuola elementare diventa difficilissimo apprenderlo dopo. È un'esperienza basilare. Io ho avuto l'esperienza di mia figlia che ha frequentato, purtroppo, una scuola elementare dove non c'erano le maestre che ho sentito ieri; io non la seguivo, questo è un mio problema, e quando alle medie mi sono seduta accanto a lei, mi sono resa conto di una situazione terribile e devo dire che ho fatto molta fatica per darle quegli strumenti di base essenziali coi quali poter andare avanti. E questo lo vedo anche a scuola: quando arrivano con lacune di un certo tipo diventa difficilissimo colmarle. Quindi, a parte tutto, è veramente la scuola essenziale. Allora il fatto che questo si nomini significa, si diceva, costruire un simbolico ed è una operazione necessaria, fondamentale, lo abbiamo detto tante volte ed io ne sono convinta, però mi chiedo se è sufficiente. Riprendendo un po' quello che è stato detto, ho grande stima di Luisa Muraro, che tra l'altro è una delle mie maestre, una delle donne da cui ho appreso di più. Però il fatto che lei dica che le elezioni sono solo un fatto occasionale e che questo convegno invece è una rivoluzione che noi stiamo vivendo, non mi convince. Non mi convince non tanto per le elezioni in sé, ma per quello che è il piano del politico e del sociale. Basta nominare, basta costruire un simbolico se poi questo non ha una trascrizione sul piano sociale, sul piano politico? Me lo chiedo perché io in questo momento vivo una difficoltà a scuola nel senso che ho sempre di più l'impressione scusate se per ragioni di tempo cercherò di essere breve che il mio lavoro e quello che io faccio sia in controtendenza. Controtendenza rispetto a quelli che sono i modelli che si vanno affermando nella società e a quello che è la Riforma che si sta attuando nella scuola italiana. Io cerco prevalentemente, l'ho sempre fatto, di insegnare a pensare. Io credo che il pensare sia una cosa fondamentale. Da questo punto di vista, grazie anche alla capacità che abbiamo avuto di metterci in discussione come donne, di rivederci, grazie a questa consapevolezza, dico subito che le discipline si devono spezzettare, non ho bisogno degli esperti per capirlo. Nel senso innanzi tutto che io le ho utilizzate sempre soltanto come strumento per cercare la cosa fondamentale e cioè instaurare con loro un dialogo, una comunicazione, perché è chiaro che senza di quello non passa assolutamente nulla. E poi per dare degli stimoli e per cercare di dare una capacità in più di leggere la realtà, di leggere sé stessi, pensare (che poi è lo sforzo che faccio innanzitutto io). Allora mi sembra che oggi, invece, si vada nella direzione opposta e che ragazzi e ragazze in realtà rimangano spiazzati da questo mio modo di essere e di fare scuola. Loro vorrebbero fare scuola in altro modo. Qui ritorno su uno degli ultimi interventi: non mi sembra che sia il caso di farci la guerra tra di noi o di vedere chi è più brava, chi meno, perché questa è una cosa che a me ha dato sempre fastidio e che purtroppo c'è stata soprattutto tra le insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori. Allora siccome le insegnanti delle scuole superiori non vanno ai corsi di aggiornamento e non si formano, sono meno delle insegnanti delle elementari. Allora, credo che qui al nostro interno un discorso di questo tipo non sta né in cielo né in terra perché noi sappiamo che la formazione primaria per noi è altra e non sono questi corsi di aggiornamento che ci propinano. Tra l'altro, per l'ottanta per cento, sono totalmente inutili e totalmente inconsistenti e non significativi. Io parto da un problema, quello che mi preme è portare qui dei problemi e trovare con voi delle risposte alle sconfitte e agli schiaffi che oggi incontro nel lavoro a scuola. Mi sembra che in questo sforzo di immettere stimoli io trovo proprio un muro. E allora mi sono detta che può darsi che dipenda dal fatto che io ho pensato sempre che il dialogo, la comunicazione debba fondarsi su una relazione di autenticità e di verità, quindi mi dico per quella che sono attraverso la pratica pedagogica. Però adesso comincio a pensare che forse è sbagliato che io mi dica per quella che sono, che forse sarebbe molto più utile che io mi camuffassi. Perché nel momento in cui io dico quella che sono, vedo che i ragazzi e le ragazze, in molti casi non sempre mettono in atto strategie di difesa. Vi faccio esempi concreti. Io faccio vedere il film "I cento passi", non so chi di voi l'ha visto, la storia di Impastato. Faccio vedere il film e dico: "Che cosa ne pensate?"; dopodiché l'atteggiamento è proprio quello di dire: "Ma a questo chi glielo ha fatto fare". Loro sono totalmente in un altro mondo rispetto a questo giovane, questo Impastato che racconta questa sua esperienza. Anche per altre cose succede qualcosa di analogo. È stato detto qui omologazione, è come, se a volte, non avessero più la capacità di distinguere, di riconoscere autorevolezza. Certo, probabilmente non si aspettano nulla dalla scuola, ma quando questo qualcosa potrebbe capitare, potrebbe esserci è come se loro si rifiutassero di averlo. Adesso sto parlando del negativo, qualcuno ha parlato del successo formativo e del fatto che è come se da loro non dipendesse più nulla. Tutto deve dipendere da noi, ma non noi come persone, noi come organizzazione tecnica. Perché io penso che il problema vero non è tanto l'oggettivazione delle discipline; il problema vero oggi è la centralità della tecnica e dell'organizzazione. Loro hanno fatto propria, per certi versi, questa mentalità e questa forma di deresponsabilizzazione.
Volevo dire una cosa rispetto a questo incontro, rispetto alla bellissima esperienza che è stata raccontata dalle tre maestre e anche rispetto alle scuole di specializzazione. È vero che guardare è un'occasione grande per imparare, questo imparare stando corpo a corpo guardando, però stiamo attenti, secondo me non sono esperienze che si possono trasferire con il rischio di perderne l'essenziale. L'essenziale è la relazione. Ieri il racconto è stato vivo, bello, perché si vedeva che nasceva da una relazione vera, da una pratica vera e quindi utile. Quando ci sono le insegnanti di accoglienza, si parlava di questa esperienza del tirocinio, non è sempre un'esperienza positiva. Io sono un'insegnante accogliente, ho due ragazze Linda, Elisabetta, e Martino che mi seguono. Ma quello che ho cercato di fare io con loro è stato di costruire innanzitutto una relazione vera e significativa. Loro mi parlano invece di esperienze terrificanti dove il tirocinio diventa una specie di obbligo fiscale, in cui le insegnanti accoglienti danno giorni precisi, ore precise, con un'altra contraddizione: molti di questi ragazzi e ragazze già fanno supplenza e si trovano a insegnare in una scuola e poi in un'altra scuola stanno con chi non si sono scelti e sono obbligati a modalità a cui per loro è difficile adeguarsi. Quindi, come vedete, diventa una cosa del tutto insignificante. Ci sono due problemi, forse tre. Uno è quello che possiamo raccontarci l'esperienza però dobbiamo coglierne l'essenziale e secondo me l'essenziale è la relazione, la pratica e la consapevolezza che ci sta dietro perché altrimenti possono essere del tutto insignificanti e neutre. L'altro: basta la costruzione del simbolico oppure non occorre, non so come perché lì è difficile, complicato, che ci sia anche un trasferimento sul piano culturale e sul piano politico. Rispetto alla fame di simbolico, di cui parlava prima Antonietta, è vero che c'è questa fame di simbolico ed è vero che la sinistra non riesce a rispondere, ma c'è chi riesce a rispondere a questa fame di simbolico? Il modello degli alunni è Berlusconi, è un modello indiscusso e indiscutibile per certi versi. C'è questa capacità della destra di costruire simbolico e allora questo è il problema. Io so che noi abbiamo fatto molto, so che facciamo molto, ma non vorrei che questo spazio che noi riusciamo ancora ad agire grazie alla nostra intelligenza e alle nostre capacità venga però ulteriormente ristretto. Ed è come, tutto sommato, se questo ci costringesse a una sorta di ambiguità per cui, diceva Luisa, approfittiamo di ciò che sta cambiando, non facciamoci prendere dal negativo perché c'è anche molto positivo. Ma siamo come se corressimo su un filo da cui possiamo non guadagnarci quello che speriamo, che vorremmo guadagnarci. E poi, altro problema, io vi devo dire che non so più chi ho dinnanzi, rispetto agli adolescenti, vi confesso che a volte mi fanno paura (pubblico: bisogna partire dalla paura). Si certo, io parto dalla paura, solo che poi, l'altro problema che io incontro nella mia scuola è che fino a quando io faccio discorsi che non richiedono impegno e responsabilità non ho problemi. I problemi nascono all'interno della classe quando io chiedo impegno e responsabilità. Allora lì è come se trovassi proprio un ostacolo, perché i modelli vincenti sono altri, non sono né quelli dell'impegno, né quelli della responsabilità, sono quelli della furbizia, dell'approfittare, del vivere i diritti come furbizia. Per cui se io devo portare il compito corretto entro 15 giorni e sbaglio di un giorno mi fanno notare subito che il compito non l'ho portato. Però, dall'altro lato, c'è quello che diceva l'altra collega: "la luce è spenta" e loro stanno con la luce spenta. Ed è veramente così, nel senso che io devo fare tutto, non è più come prima, devo proprio sostituirmi, prendere quasi il loro posto. Lo so, forse è inevitabile, però credo che dovremo stare molto attente a questo. Grazie.

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