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La balena e l’università

di Letizia Bianchi

docente universitaria

Io sono un professore ma è tutta la vita che tento di essere una docente e da sempre sono alla ricerca di maestre da cui imparare. La scuola materna La Balena di cui ci ha parlato Lucia Bresci, sono andata a visitarla per far vedere a delle maestre di una scuola materna di Trento che cosa vuole dire essere una maestra e sapere anche dire la qualità di ciò che si è e si fa.
Ci sono città toscane più belle di Pistoia, ma Pistoia ha due cose per cui vale il viaggio: la Visitazione in terracotta invetriata bianca di un Della Robbia in cui una giovanissima Maria accoglie e sorregge una matura Elisabetta e la scuola materna La Balena. Andare a visitare La Balena è una esperienza simile a quella di andare a visitare un'opera d'arte.
Vi ho trovato spazi accoglienti, ambienti non ricchi ma piacevoli, ben leggibili e definiti senza essere chiusi, caldi di colori e vita. È un posto in cui regna la cura, che fa vedere come un edificio scolastico anonimo può diventare un luogo all'altezza della grazia di bambine e bambini e del valore delle loro maestre. Spesso è possibile trovare questa qualità di cura anche nei luoghi pubblici là dove ci sono le donne. Ma qui c'è di più; lo spazio trova un suo ordine e una sua grazia registrando il fatto che alla scuola materna ci vanno bambine e bambini e che questi hanno una madre. C'è riconoscimento della differenza di essere bambine e bambini, accoglienza delle madri. Alla Balena queste cose sono nominate, la scuola le registra: così abbiamo la sezione degli orsi e delle orsette, quella dei piccoli, e quella delle balene e dei balenotteri e ogni sezione ha uno spazio di accoglienza delle madri. Qui si tocca con mano che nominare le cose crea realtà, la modifica.
Vedendo questo qualcosa dentro di me si è acquietato - un risentimento, una irrequietezza - in quel riconoscimento di bambine e bambini e delle loro madri, in una scuola "materna" di nome e di fatto. Per questo al termine scuola dell'infanzia che sempre più si fa diffondendo, preferisco quello di scuola materna. Scuola dell'infanzia sembra indicare un puericentrismo che astrae l'esistenza di bambini e bambine dalla loro relazione fondante con la madre, una scuola che pensa al proprio progetto educativo come non collegato con quello materno. È la prima cosa che dico quando vado a fare formazione con le maestre dell'asilo nido e delle materne: per lavorare bene con i bambini e le bambine bisogna amare le loro madri. Scuola materna indica una continuità, allude - anche se non sempre con consapevolezza - ad un passaggio di consegne dalle madri alle maestre, fa esplicito riferimento al fatto che la qualità educativa di questo ordine di scuola echeggia il successo educativo del modello materno.
(...)Il ribaltamento, mettere prime le maestre va contro una diffusa pratica della scuola italiana di pensare ai collegamenti tra i vari ordini di scuola in modo negativo: c'è sempre qualcuno prima a cui attribuire la non preparazione di ragazzi e ragazze... E invece ad esempio nella scuola "La balena", Simonetta prima parlava dell'organizzazione, si può vedere che la vera organizzazione è quella che aiuta e sostiene la qualità, la bravura delle maestre. Allora quella è organizzazione vera. Invece molto spesso l'organizzazione va nella direzione del disciplinamento, della burocratizzazione dell'esistente non del sostegno della qualità. E un dirigente è qualcuno che si adopera perché questo sia possibile, come fa da anni Annalia Galardini che è la dirigente che a Pistoia si occupa delle scuole dell'infanzia. Sempre Annalia Galardini dice che la qualità della scuola che hanno creato a Pistoia, oltre alla qualità delle maestre, è data anche dai bambini e bambine, dal loro "consegnarsi fiducioso". Questo "consegnarsi fiducioso" ha un effetto enorme anche sulle maestre. E certamente lavorare in un asilo nido significa avere a disposizione la freschezza, la bellezza di bambini e bambine, cosa che non si ha più quando si ha a che fare con ragazze e ragazzi grandi, ma qui il consegnarsi fiducioso dei bambini e delle bambine ha un'accoglienza, ha un rimando ed ha anche una continuità rispetto ad un altro consegnarsi fiducioso che loro conoscono, quello con la madre.
All'università più che un consegnarsi fiducioso oggi registro uno spegnersi. Come tutti ho un episodio da raccontare che per me è stato un campanello d'allarme, terribile.
Una mattina d'inverno arrivando in università ho trovato un gruppo di studenti e studentesse che aspettavano per il ricevimento, al buio! Si era bruciata la lampadina dell'antistudio dove aspettavano e in cui non ci sono finestre e loro non si erano neppure mossi, aspettavano al buio. A me questo è sembrato terribile. Uno "spegnimento" in tutti i sensi.
Come si può, tenendo conto delle differenze che ci sono tra una scuola materna e l'università, stare in continuità per cose che possiamo chiamare costanti, per una qualità, che non è così facile tenere e nemmeno dire?
Le relazioni iniziali delle maestre mettono al centro, come cruciale, una scuola che si pone in continuità con un modello educativo materno. Nella mia facoltà in questo momento noi stiamo progettando un corso di laurea breve proprio per maestre di asilo nido e materna. Fino ad ora non era necessario essere laureate per lavorarci ma molte facevano lo stesso l'università, per stare in contatto con il sapere. Oggi si dice che per fare bene il loro lavoro devono avere la laurea. E ciò che si propone di insegnare è una idea di professionalità astratta che ha al centro un bambino della ragione.
L'università per poter formare le maestre della scuola dell'infanzia dovrebbe cambiare e molto, potrebbe essere anche una grande opportunità, invece riporta tutto al suo modello. Non dice l'origine non dice da dove le cose vengono, non dice i collegamenti con il materno, traduce tutto in un neutro ed un impersonale. A me questo fa molto problema e mi chiedo come fare a cambiare.
Io dalle maestre dell'asilo e della scuola materna ho imparato molto, ho imparato molto dalle colleghe, dalle formatrici, colleghe con cui ho lavorato; abbiamo progettato, abbiamo messo insieme.
All'Università succede molto meno, mi sembra piuttosto che abbia una forma che aiuta molto poco ad andare nella direzione che loro ci hanno raccontato. C'è bisogno di invenzione e di ribadire l'importanza delle cose fondamentali.

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