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Un gioco di disordine e di immaginazione

di Andrea Bagni

insegnante di scuola superiore

Anch'io volevo ringraziare le maestre: le relazioni sono state bellissime. Fra l'altro mi rendo conto che vengo agli incontri dell'autoriforma con un sentimento un po' ambivalente perché vorrei che non ci ripetessimo. Sento molto l'ansia per noi di aver affermato un paradigma di interpretazione della scuola, ma di non riuscire poi ad agirlo rispetto a tutto quello che nella scuola accade, quello che agisce, pesa, forse ho un'ansia da desiderio di sintesi da pensiero maschile, però ho l'ansia di tradurre questo nostro modo di raccontare la scuola in qualcosa che sia capace di creare non solo un contagio orizzontale, ma un conflitto verticale forte, con tutto quello che arriva sulla scuola e che nasce da un altro paradigma.
Ho ascoltato le relazioni di oggi pomeriggio e mi hanno mandato un messaggio di felicità forte, di gioia. Sentire parlare di scuola così, e raccontare la scuola così, intanto non mi fa sentire l'unico matto e mi fa capire quanto il nostro lavoro sia ricco di tutte queste cose. Dirselo, raccontarselo è già qualcosa che ha un valore politico fortissimo.
Fra l'altro ascoltando, sull'immagine del bambino e della bambina, mi veniva in mente che in tutte le ultime letture che ho fatto: nuovi curriculum, sintesi di curriculum, scuola dell'infanzia, scuola di base ecc. mi ha colpito una cosa, è come se questo bambino o bambina o è una specie di adulto in miniatura, per cui deve fare gli stessi passettini dell'adulto, con le stesse forme, oppure gode di uno strano vantaggio. Perché se uno mette a confronto il discorso della valutazione che riguarda la scuola dell'infanzia (la scuola di base già meno) con la scuola superiore, cioè con il ragazzo e la ragazza, scopre che quando si parla del bambino e della bambina si dicono delle cose notevoli. Si è consapevoli che l'apprendimento avviene in contesti significativi, che è un processo olistico che ha dentro un sacco di cose, che avviene solo dentro relazioni significative, altrimenti è sterile, non funziona.
Caso mai si potrebbe dire che accanto a questa pedagogia notevole, bella, c'è una didattica tutto sommato che è quella di sempre, dato che l'apprendimento coinvolge la soggettività dei bambini e delle bambine, ma la soggettività delle maestre sta sempre fuori e sopra.
Le maestre fanno il progetto che deve essere calibrato, poi fanno le verifiche che servono a ricalibrare l'intervento e così via.
In realtà in quei testi l'approccio a questo contesto è un approccio che ha la forte ansia di tenere sotto controllo, l'ansia del tradurre tutto in un processo verificabile, controllabile, sul quale si può intervenire, tornare indietro, recuperare ecc.
La cosa strana secondo me è che viene fuori uno strano privilegio del bambino, quello di essere ancora un essere umano imperfetto, non ancora compiuto. Per cui ancora con lui non si possono usare quegli strumenti forti, tecnici, del controllo, della verifica, della misurazione che invece, quando comincia ad avere 16, 17 anni, e affronta la disciplina con la sua durezza, purezza, misurabilità, la traduzione quantitativa in prestazione misurabile diventa operabile.
Sentendo parlare le colleghe pensavo che io ad esempio, che quest'anno ho la prima, la seconda e la terza, parlando di uso dello spazio riguardo alla prima, con ragazzini di 14 anni in prima faccio una certa fatica e di conseguenza un certo lavoro per cercare di contenerli perché quando sono 27 in una classe non è che ognuno può fare quello che vuole, quantomeno non sempre.
Io magari cerco di mediare, per cui si fa mezz'ora di lavoro intenso intervallata da una pausa durante la quale si parla d'altro; tuttavia ci tengo molto al fatto che in quella mezz'ora in cui si lavora ci sia una specie di produzione, diciamo così.
Come a dire una specie di armonia, però un'armonia nuova fatta anche di partecipazione intensa.
In terza, invece mi succede, con gli stessi ragazzi che ho dalla prima (e che. come ho detto in vari momenti, vedo spengersi piano piano), di fare l'esatto opposto.
Ad esempio, situazione classica, 24 ragazzi barricati dietro le ragazze, dietro ai loro banchi, caschi sul banco con dentro il cellulare (perché si spediscono messaggi continuamente), insomma una sorta di ordine, comunque, perché non fiatano, ma fanno solo gli affari loro.
Ordine, ma un ordine strano, ad esempio recentemente, visto che non ce la facevo più ho deciso di togliere di mezzo tutti i banchi e di far sedere i ragazzi al centro dell'aula per una lettura.
Questo disordinamento delle cose (sarà stata la sorpresa), aver buttato all'aria questo ordine, che era diventato un ordine dove non si mette in gioco nulla, in cui presti quell'attenzione standard richiesta da una lezione standard, ha prodotto una vivacità nuova. Io spesso non ho il coraggio di buttare all'aria le cose perché forse la routine è tutto sommato un orrore comodo, anche perché uno non è che tutte le ore, tutti i giorni, tutto l'anno ha l'energia per buttare tutto all'aria, poi passano gli anni.
L'anno scorso in quinta facevo lezione in un silenzio assurdo, ma non c'era verso, leggendo un testo di letteratura, di avere un minimo di partecipazione nell'interpretazione. Quello che i ragazzi e le ragazze volevano con forza era che io gli dessi le future rispostine per le future domandine per l'esame. Erano tutti lì a prendere appunti per fare tesoro di quello che ti sarà utile a giugno, un atteggiamento assolutamente spento.
Allora io volevo non tanto indicare fra disciplina e non sapere o indisciplina, una terza via, quanto dire che questo ordine, un certo ordine della disciplina è la morte di quella disciplina. Intanto un elemento di disordine ci vuole. Per dirla con Rosalba Conserva che è una studiosa di Bateson, ci sono immaginazione e rigore, ci vuole anche la fase dove certe cose le sistemi in un ordine, in una forma. Però prima di arrivare a questa sistemazione che ci sia per lo meno il provare a giocarla questa cosa, a interpretare, a vedere se questi testi funzionano ancora (il famoso discorso di Guido dei classici che devono sempre accettare la sfida di verificare che lo siano ancora per le nuove generazioni), insomma a stare dentro un dialogo e vedere cosa viene fuori, come si leggono, come si interpretano, che domande e che dubbi, che colto non sapere, accendono. E poi viene la fase della sistemazione, fermo restando che oggi sappiamo che ogni disciplina se arriva ad una qualche formalizzazione e sistemazione dovrebbe avere dentro di sé il concetto del limite, dell'essere anche uno stadio di passaggio, dell'essere una disciplina che ha, come mi sembra dicesse una volta Gian Piero, dei confini indisciplinati che ogni tanto vanno frequentati, questi confini dove la disciplina mostra il suo limite nel parlare di qualcosa, o si intreccia con altre o ha bisogno di un altro approccio, di un altro paradigma.
Fra l'altro nella mia esperienza c'è anche il fatto che io mi ritrovo a preservare, rispetto a testi che ho letto magari più volte, una zona del non sapere dove certe cose in classe succedono, e non so bene da che parte succedono, in che direzione vanno; certe cose, quando le cose vanno bene, non sempre succede, ho l'impressione di capirle lì per lì, che ritornano fuori come nuove. È chiaro che è uno spazio di non sapere arredato da certe conoscenze, da certe pratiche, da certe tecniche, però questa zona, dove ti avvicini sempre a qualcosa che è quasi nuovo anche per te, che ha una dimensione quasi "aurorale" di lettura, di interpretazione, di confronto, è preziosa. Lo è anche per la disciplina, che non può presentarsi nella sua completa formalizzazione, ma ha bisogno sempre di essere un po' rivisitata, mossa per creare una zona in cui ci sia un gioco di disordine, di immaginazione prima di arrivare alla sua formalizzazione, al suo rigore. L'ultima cosa che volevo dire, anche se ce l'ho poco chiara e ve la sottopongo come riflessione, è legata ai corpi.
Io verifico nella mia esperienza scolastica che c'è a volte una dimensione fisica con un aspetto erotico del pensiero. Ogni tanto io sento, non succede con tutti, non succede con tutte, ma è come se ci fosse una sorta di vicinanza estrema che sta dentro a questo "setting", a questa "forma" classe che è molto rigida, molto burocratica. Ho come l'impressione che a volte proprio in questa forma così irrigidita, i banchi, la cattedra, ecc., avvengono esperienze di contatto molto molto forti. Mi capita anche, caso quasi opposto, di vivere una specie di strano, ma anche bello, imbarazzo, quando il "set" della classe scompare. Ho in mente le gite scolastiche dove c'è il venirsi vicini, poi l'allontanarsi, il sentirsi o troppo vicini o non abbastanza, cercare sempre una sorta di contatto che è strano, perché l'asimmetria permane anche fuori della classe, la classe l'aiuta. Mi sembra il cercare quasi una nuova forma di asimmetria che però sia fuori della forma codificata, irrigidita dalla scuola, dallo spazio scolastico. Questa sorta di gioco con i maschi è assolutamente non detto, direi che caso mai lo percepisci proprio attraverso il non detto, attraverso situazioni strane dove qualche cosa si sente, ma c'è il pudore estremo, perché i maschi non è che si parlano dei loro sentimenti, c'è una sorta di parlare sentimentale di altro, cioè si può parlare di altro e dal modo in cui ne parli si capisce che un contatto, uno scambio affettivo c'è; raramente a me è capitato di essere stato affettivo direttamente: una volta o due in quindici anni. Ecco credo che questa dimensione fisicointellettuale, di una specie di contatto intellettuale che diventa anche peso e quasi, non so dire come, anche fisico, sia anche una delle caratteristiche, più della scuola superiore che di quella di base, che fanno parte del tipo di relazioni che si possono stabilire in classe.

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