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SESSO SOLDI GERARCHIE

di Franca GIANONI

Mi ero preparata due foglietti per quanto volevo dire, ma dopo la giornata di ieri sento il bisogno di collocarmi: soprattutto verso quelli che vedo nuovi, non conosco e quindi suppongo non mi conoscano. Sono in pensione dal '92, ma lavoro col gruppo fiorentino, perché - essendo stata la scuola il mio luogo della politica durante la mia vita scolastica- non ho "mollato". Quindi, da una parte questi colleghi e colleghe mi mediano quello che oggi avviene all'interno delle loro scuole, dall'altra parte credo di avere acquisito anche una distanza maggiore, rispetto ai colleghi e alle colleghe che hanno parlato ieri e che parleranno oggi. Credo almeno.
Nel preparare questi foglietti ho avute varie incertezze, perché non sono più direttamente in una classe da un certo numero d'anni. Ma poi c'è questa mediazione, la lettura di testi, l'esperienza di riflessione su come si prospetta il lavoro oggi e sulla "femminilizzazione del lavoro". Oltre a tutto mi si è ripresentato un ricordo molto preciso dei miei ultimissimi anni di scuola, svoltisi in un istituto tecnico commerciale, che era polo nazionale di una sperimentazione assistita: lì si svolgevano anticipatamente alcune cose che adesso vengono allargate a tutte le scuole.
Avevamo un preside, giovane uomo con esperienze serie di partito, uomo di sinistra, il quale ogni giorno arrivava a scuola verso le 7,45 e ne usciva alle 20, tranne quando c'era il consiglio di istituto, che usciva a mezzanotte Dei figli ovviamente si occupava la moglie, che pure lavorava, ed erano più d'uno. L'anzianissima madre di lui l'ha assistita la moglie. Per sua diretta e pubblica ammissione (fatta nella biblioteca del paese dove c'era questa scuola, Sesto Fiorentino), lui - manager ante litteram- non riusciva più a leggere e a studiare niente oltre i documenti scolastici. Queste sue pratiche, secondo me, mostravano a tutti noi un ideale di insegnante: quello che il riformatore, come un puzzle, tenta attualmente di comporre. Ma chi è questo insegnante ideale? Un individuo assolutamente autosufficiente, la cui vita extra-scolastica è seconda: secondi sono madri, figli, parenti, amici, amiche: non c'è mica il tempo; passioni sociali esterne al ruolo non devono turbare questa programmata scolasticità con sofferenze o godimenti o imprevisti vari. Un'entità quindi disincarnata. "Disincarnatezza" che comporta l'essere senza sesso, naturalmente Senza sesso: né uomo, né donna, oppure, in questa visione "idealistica", del tutto indifferente che sia uomo o donna.
Questa forma di neutralità però non è neutra nello stesso modo in cui il femminismo dei primi anni '80 scoperse neutre le donne, per esempio nella vita pubblica, tra le lavoratrici, artiste e scienziate, ecc. Queste entità docenti (devote al ritmo modulo valutazione) trovano ora la loro trascendenza nel quantitativo: quanti moduli, quanti progetti, quanti prodotti (dove la parola prodotti significa "studenti e studentesse") A questi "quanti" seguono altrettanti soldi.
Obbedienti alla didattica di stato, ma un 20% più obbediente del resto Anche creativi, perché nella new economy ci vuole creatività, ma all'interno del quadro generale, sulle cui finalità e tempi altri hanno scelto e deciso. E chi non sta dentro a quelle finalità, chi vuole tempi meno stretti, non è meritevole.
Una gerarchia che nella scuola già c'è - però impari rispetto ai sommovimenti sociali degli ultimi decenni e spiazzata dall'impronta femminile di qualità, che ha già segnato la scuola- e che adesso cerca di ricostituirsi, a partire da ogni singolo plesso e istituto, inventandosi criteri "oggettivi" di merito.
Quanto più questa ricostituzione di gerarchia è artificiosa (in un mestiere che è invece massimamente politico, ricco di scambi, orizzontali e anche verticali, comunque non fissi, prefissati), tanto più è rigida nella sua erezione e teme- come un afflosciamento - il libero gioco dell'ascolto, dell'attenzione e dell'apertura all'altro.
Vedo che qui c'è qualche risata, ma questa impronta del simbolico maschile a me sembra solare, evidente. E devo dire che è solare non solo nel ministero: questo simbolico maschile che si rierge, io lo vedo, forse è presente anche fra noi. Dirò anche come ne sono coinvolte alcune, che forse sono anche più di alcune.
Per capire meglio in che forma questo astratto insegnante lo si vuole quasi adattare, mi pare che convenga un po' alzare lo sguardo oltre l'insegnante e vedere l'altro/giovane (che tra l'altro è sempre più l'altra/giovane), la cui crescita va curata C'è come un'ironia, in questa cura, perché una serie di pubblicistica, una serie di riflessioni anche molto serie, ha dato della parola cura tutto un altro senso. Qui invece la cura consiste in: niente "giardini segreti", teniamoci a ciò che è trasparente, contabilizzato, oggettivamente valutabile, debiti, crediti, saperi quizzati Pare si desideri un prodotto finale professionalmente abile (per che cosa poi non si sa, tanto tutto cambia ogni momento: per il mercato un anno è una previsione già lungimirante, mi hanno spiegato le colleghe di economia aziendale, qui presenti), competitivo, docile, flessibile, bisognoso di consumi, indifferente a legami sociali liberi. Il mercato soffia in questa direzione. Però ho in mente che questo procedere si pur capire meglio se si tiene presente la rivoluzione femminile in corso (un lungo discorso, che sintetizzo quasi brutalmente per brevità) e l'uscita dalla differenza/inferiorità (in cui stavano le nonne, le bisnonne, ecc.). Il suo porsi nella differenza/differenza ha messo in crisi l'altra parte, la differenza/superiorità: il soggetto quindi non pur più dirsi universale e il soggetto debole non rassicura nemmeno un po'.
Domanda: dove si andrà a parare ora?
Siccome ci sono uomini in carne ed ossa non spaventati da questa cosa, ma anzi perfino un po' contenti, risposte di ampio orizzonte tocca darle anche a loro, io penso.
Quello che intanto io vedo ( e che vedono anche altre, dato che lo trovo scritto, se ne parla) è la risposta reattiva più immediata, un aggrapparsi al potere macro e micro. Per macro intendo le alte sedi romane, per micro colleghe e colleghi vicini. Un potere però che, seguendo il vento del mercato, non esclude o relega nel privato le qualità più femminili che maschili di intuito, relazionalità, apertura. Anzi: se ne vorrebbe servire. E' come se il simbolico maschile - che non ha scelto di rinnovarsi, ma ha dovuto farlo prendendo atto che le donne arrivano pressoché dovunque- mandasse il messaggio: "Guardate carine, che le vostre qualità oggi sono utili strumenti, ma funzionano solo all'interno di modalità falliche. Le uniche incisive, non solo in presenza, non fuggevoli quando la presenza manca, capaci invece di generalizzazione e stabilità". E io credo che generalizzazione e stabilità abbiano una forza seduttiva notevole. Infatti alcune, oltre ad alcuni, accettano.
Quando siamo davanti a un problema di simbolico, non è questione solo di singolo maschio e in carne ed ossa, è questione che il simbolico maschile è poi un simbolico che circola. E allora, a chi non vuole pagare il prezzo che l'accettazione di queste modalità falliche comporta - prezzo che riguarda non solo le accettanti e non solo le donne, ma riguarda tutti- spetta trovare strade di più fine intelligenza e di più adeguata e costante conflittualità di fronte a questo tipo di ostacoli del presente. Che non sono più quelli, secondo me, di trent'anni fa, vent'anni fa.
Dopo il discorso del potere, passo al discorso del denaro (che col potere è intimamente connesso).Il denaro, se guardato da un punto di vista solo economicistico - come di solito avviene- è elementarissimo, è assolutamente privo di qualità (equivalente generale).Con sei milioni a testa si pur comprare una percentuale del corpo insegnante che si drizzi sul resto. Poi si vedrà E il "concorsone" ha rappresentato solo il punto più evidente di quella rigerarchizzazione di cui dicevo, fondata sulla moneta, così facilmente calcolabile e semplificatrice fino alla grossolanità. Il no degli insegnanti (molte e molte più donne che uomini: bastava guardare le foto delle manifestazioni) ha interrogato assai più a fondo di quanto non facciano intellettuali, giornaliste, sindacalisti anche di base, in questi giorni, senza fermarsi alla innegabile evidenza che tutti gli stipendi tanto inadeguati provocano ben a ragioni richieste di aumenti che vanno soddisfatte.
Quante cose ci sono in queste richieste? Qual è il posto dei soldi, per le donne e per gli uomini, in un lavoro in cui relazione e scambio sono la parte essenziale (tant'è che molti e molte lo fanno bene anche con compensi di miseria, lo fanno bene già adesso)?
Sono domande aperte. Io riferisco qualche inizio di risposta che abbiamo provato a dare nella discussione fiorentina. Una insegnante lì dice: "Mi ripugna (mi ripugna) vincolare ogni mio atto a denaro, non voglio esserne schiava: e per questo ho bisogno di guadagnare bene", "Forse il denaro ha importanza anche all'interno della relazione con le studenti e gli studenti, perché segna come un equilibrio fra empatia e distanza". Un altro scritto dice: "Il soldi servono per riprodursi e sono un riconoscimento sociale dell'importanza di quanto si fa, ma a scuola non mediano gli scambi interni al lavoro. Vogliamo essere pagati abbastanza da poter lavorare gratis". E mi fermo qui, perché mi sembra una buona non-conclusione.

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